5000 anni fa in Campania neurochirurgia per l'osteomielite post-traumatica

Una ricerca condotta da un'equipe di antropologi e medici forensi ha svelato come già in età protostorica in Campania antichi chirurghi avessero le necessarie capacità tecniche e gli strumenti adatti per operare con successo il cranio umano. La ricerca, coordinata dal professore Claudio Buccelli direttore del Dipartimento di Scienze Biomediche Avanzate presso l'Università di Napoli Federico II, è stata pubblicata nell'ultimo numero della prestigiosa rivista PLOSONE.
La pratica della trapanazione del cranio è una delle più antiche procedure chirurgiche adottate sin dal primo Neolitico sia nel Vecchio che nel Nuovo Mondo. Questo tipo di chirurgia consiste nella rimozione artificiale di un pezzo d'osso dalla volta cranica per il trattamento di fratture e traumi del cranio, cefalea cronica, tumori cerebrali ed altri disturbi dolorosi. Come testimoniato in numerosi casi, lo scopo di tale terapia chirurgica ossea era quella di elevare fratture depresse, rimuovere frammenti di ossa e drenare ematomi epidurali al fine di alleviare la pressione intracranica.
Lo studio effettuato dal team di ricercatori ha analizzato in dettaglio quello che si è rivelato come un caso unico di doppia trapanazione del cranio ben rimarginata, associata ad un evento traumatico post-craniale occorso intra vitam ad un giovane maschio proveniente da una necropoli Calcolitica di Pontecagnano, della cosiddetta Cultura del Gaudo (4.900 - 4.500 cal BP).
Le indagini condotte tramite raggi X e tomografia computerizzata (3D-CT scan) hanno rivelato i particolari delle tecniche chirurgiche adottate circa 5000 anni fa: il foro principale risulta prodotto tramite abrasione, ottenuta mediante movimento rotatorio in senso orario di uno strumento in pietra (raschiatoio) da parte di un chirurgo destrorso rivolto verso il paziente; la seconda trapanazione, in questo caso parziale, è stata praticata con una pietra appuntita (bulino) quale utensile. In entrambi i casi, la ricrescita ossea da indicazioni di una prolungata sopravvivenza postoperatoria del paziente e del suo completo recupero. "La nostra ricerca dimostra come già in età protostorica qui in Campania i chirurghi antichi fossero in grado di evitare la penetrazione della dura madre e il conseguente rischio di infezione e di danni fisici ai sottostanti vasi sanguigni, meningi e cervello" afferma Pier Paolo Petrone, responsabile del Laboratorio di Osteobiologia Umana e di Antropologia Forense della Sezione di Medicina Legale della Federico II presso il quale è stato condotto lo studio dei reperti scheletrici.
Un'ulteriore lesione è costituita da una frattura non consolidata del femore destro, con alterazioni ossee che le ulteriori indagini radiografiche tramite raggi X e 3D-CT scan hanno permesso di associare ad un'osteomielite cronica post-traumatica, a carico di entrambi i femori per diffusione ematogena dell'infezione.
La completa guarigione della trapanazione cranica e la contemporanea cronicizzazione dell'osteomielite ha portato i ricercatori a concludere che con elevata probabilità l'intervento sia stato condotto in relazione alla osteomielite femorale, successivamente causa del decesso. "Le evidenze desunte da questo caso unico di neurochirurgia preistorica associato ad una disabilità permanente degli arti inferiori lascia presupporre che l'intento della trapanazione fosse quello di liberare il paziente dalla sua condizione estremamente dolorosa e disabilitante, probabilmente attribuita ad uno spirito maligno" aggiunge infine Buccelli.
Redazione
c/o COINOR: redazionenews@unina.it |redazionesocial@unina.it
F2 Magazine – Università degli Studi di Napoli Federico II testata giornalistica registrata presso il Tribunale di Napoli. Aut. n. 41 del 5/11/2019