L'epidemia e la lezione della peste del 1600 a Napoli

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Nella primavera del 1656 un'epidemia di peste bubbonica piombò improvvisa su Napoli, la capitale di un regno. Definito dalle fonti "contagio" per la rapidità e le modalità della sua diffusione, il morbo si propagò rapidamente in città e in tutto il Mezzogiorno. Al principio nessuno comprese cosa stesse accadendo, neppure i medici. La paura dominava la società e tutti cercavano di non vedere o di nascondere la verità.

I medici del tempo brancolavano nel buio, non sapendo come contrastare la malattia, e fornivano svariati rimedi curativi, spesso inefficaci. Inoltre, per i medici,  diagnosticare la presenza di un'epidemia di peste davanti alle autorità era un'azione estremamente rischiosa,  perché nessuno voleva sentire la verità. La paura dominava la società, e non solo la gente comune, ma anche i governanti che, tentando di nascondere la verità, cercavano di tenere a bada la popolazione e di garantire l'ordine pubblico. Le possibili reazioni inconsulte del popolo rischiavano infatti di essere più pericolose della malattia stessa.

E così la peste soggiornò a Napoli per svariati mesi, fino all'8 dicembre, festa dell'Imma­colata Concezione, quando la città fu dichiarata ufficialmente libera dalla peste. Lasciava un'eredità di circa 1.250.000 morti in tutto il regno, con tassi di mortalità davvero elevati, molto di più dell'attuale Covid: dal 43 per cento del Regno a circa il 50 per cento della sola capitale.

L'epidemia aveva messo a dura prova le autorità di governo, costringendole ad assumere provvedimenti talvolta drastici ma, nella maggior parte dei casi, scarsamente risolutivi. Perché in mancanza di conoscenze mediche adeguate sulla eziologia della malattia e, quindi, di validi rimedi curativi, per combattere la peste bisognava prevenirla attraverso lazzaretti, cordoni sanitari e quarantene.

Essendo così importante la prevenzione, le autorità avrebbero dovuto adottarla in maniera rigorosa, ma nella realtà altre logiche prevalsero. A Napoli come altrove. Anche perché era impossibile limitare completamente gli spostamenti degli individui. E le conseguenze erano disastrose per intere popolazioni.

La storia oggi si ripete. L'attuale emergenza sanitaria provocata dal coronavirus presenta molte similitudini con le epidemie del passato. Non tanto perché le due malattie siano uguali, quanto perché anche il coronavirus è un male ancora non completamente conosciuto dal punto di vista medico e che si diffonde con una rapidità sorprendente, imponendo alle autorità drastici provvedimenti preventivi di isolamento. Ancora oggi la prevenzione resta la via da seguire. Con tutte le difficoltà che questo comporta.

Oggi, rispetto al passato, disponiamo di conoscenze e strumenti scientifici che ci permetteranno certamente di superare l'emergenza in tempi rapidi, o almeno lo speriamo. Frattanto, peste e coronavirus devono essere governate in modo simile. E' il loro governo che le unisce e che ci aiuta a capire come la storia, mostrandoci il modo in cui le pandemie del passato sono state affrontate, possa ancora rappresentare un utile insegnamento. Quasi a riprova (se ce ne fosse bisogno!) che la storia, oggi tanto negletta, assieme alle altre scienze umane, è ancora in grado di insegnarci qualcosa. E a conferma, ancora, di come la storia, e in particolare anche la storia della medicina, offra spunti stimolanti di riflessione e debba necessariamente dialogare con discipline considerate tipicamente "scientifiche".

 

Prof. Maurizio Bifulco

Ordinario di Patologia Generale e di Storia della Medicina

Dipartimento di Medicina molecolare e Biotecnologie mediche

Università degli Studi di Napoli Federico II

in collaborazione con la Dott.ssa Idamaria Fusco, Ricercatrice del CNR-ISEM (Istituto di Storia dell'Europa Mediterranea)

 

riduzione articolo pubblicato su Il Mattino del 18.11.2020


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