Possibili tracce della Materia Oscura osservate dall'IceCube in Antartide

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Un risultato estremamente interessante, ottenuto a un gruppo di ricerca del Dipartimento di Fisica "Ettore Pancini" dell'Università degli Studi di Napoli Federico II, è stato di recente pubblicato in due lavori e, se confermato, potrebbe essere la prima evidenza di un segnale dalla Materia Oscura.

Il gruppo, guidato dal professore Gennaro Miele e costituito dai giovani ricercatori Marco Chianese, Stefano Morisi ed Eduardo Vitagliano, ha trovato nel segnale di IceCube un eccesso nel flusso dei neutrini nell'intervallo di energia compreso tra 10 e 100 Tera-elettronvolt, rispetto a quello che ci si aspetterebbe dal solo fondo astrofisico. Questo suggerisce la presenza di una seconda componente del segnale corrispondente con quanto predetto da vari modelli teorici che studiano il decadimento della Materia Oscura.

Questo modello a due componenti riesce a spiegare un segnale che, altrimenti, risulterebbe difficilmente comprensibile in termini di sorgenti standard astrofisiche. Al momento, questo segnale, ha una significanza statistica non ancora definitiva ed occorre quindi  attendere l'analisi dei nuovi dati che saranno presto resi pubblici dalla collaborazione IceCube.

Nel caso l'eccesso venisse confermato si renderebbe necessario uno studio spaziale delle direzioni di arrivo al fine di rafforzare o scartare l'ipotesi Materia Oscura. È quindi interessante osservare che potrebbe ripetersi per le particelle di Materia Oscura quanto già accaduto per il quark "top" e la particella di Higgs, attese con masse molto inferiori, ma poi trovate solo con apparati più potenti ed a scale energetiche superiori. In questo contesto, i telescopi di neutrini offrono una opportunità unica potendo esplorare energie irraggiungibili agli acceleratori di particelle.

È ben noto che l'Universo è composto per il 5% da materia ordinaria, per il 75% da energia oscura e per il 20% da Materia Oscura della quale ignoriamo la natura e le proprietà avendo solo prove indirette e gravitazionali dei suoi effetti. Se la materia oscura avesse altre interazioni oltre a quella gravitazionale, potrebbe essere facilmente rivelata osservando fenomeni quali il decadimento o l'annichilazione in coppie particella-antiparticella di materia oscura nei quali vengono emesse quelle che i fisici chiamano "particelle standard", fotoni, leptoni o quark. E' per questo motivo che da alcuni decenni, la comunità scientifica internazionale è impegnata nella caccia a queste ipotetiche particelle che potrebbero costituire la Materia Oscura attraverso l'identificazione dei prodotti secondari di queste interazioni. Una caccia che viene condotta utilizzando tutti gli strumenti a disposizione dei fisici: dagli acceleratori di nuova generazione quali Large Hadron Collider – il gigantesco acceleratore di particelle del CERN di Ginevra – a strumenti più tipici dell'astrofisica quali, ad esempio, telescopi da terra e dallo spazio e telescopi specializzati nella rivelazione dei neutrini. Strumenti strani, che ben poco hanno a che fare con i telescopi tradizionali, e che sono stati pensati e realizzati per studiare nuove sorgenti astrofisiche e nuovi meccanismi di accelerazione dei raggi cosmici; strumenti che offrono la possibilità di cercare la materia oscura a scale di energia molto più alte di quelle finora esplorabili agli acceleratori ed in esperimenti dedicati alla materia oscura.

Uno di questi strumenti è IceCube: un telescopio di neutrini costruito nel ghiaccio dell'Antartide a circa tre chilometri di profondità e con un volume fiduciale di circa un chilometro cubo. In pratica si tratta di una griglia tridimensionale di fotomoltiplicatori affogati nel ghiaccio antartico. Fotomoltiplicatori che rivelano i deboli lampi di luce rilasciati dagli sciami di particelle che si formano quando un neutrino interagisce nel rivelatore. (c.s.)


Redazione

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