Vittorino Andreoli giovedì 19 maggio 2011 in Ateneo

Sento forte il desiderio di svelare la mia fragilità, di mostrarla a tutti coloro che mi incontrano, che mi vedono, come fosse la mia principale identificazione di uomo, di uomo in questo mondo. Un tempo mi insegnavano a nascondere le debolezze, a non far emergere i difetti, che avrebbero impedito di far risaltare i miei pregi e di farmi stimare. Adesso voglio parlare della mia fragilità, non mascherarla, convinto che sia una forza che aiuta a vivere.
‘Fragilità' ha la stessa radice di frangere, che significa rompere.
La fragilità di un vetro pregiato di Murano o di un cristallo di Boemia: bello, elegante ma basta poco perché si frantumi e si trasformi in frammenti inservibili. Conoscendone la natura, si deve stare attenti a come lo si usa, a come lo si conserva: occorre tenerlo lontano da luoghi in cui si compiono azioni d'impeto, perché altrimenti quel vetro pregiato si fa nulla, solo ricordo.
"Fragile" significa anche delicato, gracile. Come un fiore: basta un colpo di vento e un petalo si stacca e perde il suo profumo, divelto dalla sua funzione, muore.
Il contrario di fragile è resistente, tetragono, indistruttibile. Si pensa agli oggetti in acciaio, alle rocce di una montagna. All'uomo di roccia non di vetro, all'uomo potente non fragile: c'è e tra un attimo potrebbe svanire, pezzi di un'unità defunta, come non fosse mai stato.
Si sente dire che l'educazione deve edificare un bambino forte, un uomo di coraggio che affronta le lotte e le vince.
La timidezza, invece, va curata e prima ancora nascosta: la paura va dimenticata e sostituita con la potenza e per questo ci si allena a battere un nemico, prima immaginario e poi di carne; e l'abilità sta proprio nel romperlo e non nel venire rotti.
Ecco la differenza tra i due opposti: la fragilità e la forza.
‘Grandi' si crede siano coloro che hanno sempre vinto, mentre i ‘gracili' in un attimo si incrinano, si frantumano in tanti piccoli pezzi che non permettono di venire ricomposti.
Io sono fragile e, paradossalmente, sono portato a parlare di forza della fragilità: di forza, anche se lontano dalla stabilità, dalla infrangibilità… La fragilità richiama il tempo e la caducità del tempo, del tempo che passa. Ebbene, se sono stato, e sono, un buon psichiatra, se ho aiutato i miei matti, ciò è avvenuto per la mia fragilità, per la paura di una follia che si annida dentro di me, per la fragilità che avverto capace di sdoppiarmi, di togliermi la voglia i vivere e di rendermi simile a un depresso che chiede soltanto di scomparire per cancellare il dolore di cui si sente plasmato... La mia fragilità significa che ho bisogno dell'altro: di lei che si faccia parte di me senza confini e distinzioni, di chi mi possa aiutare con la voglia di mostrarsi amico poiché sa che io sento la voglia di esserlo per lui…
La mia fragilità mi porta ad amare, dunque l'amore è la risposta a un bisogno, nato dalla fragilità, dalla percezione che senza l'altro il mio essere nel mondo è votato solo alla morte, al non esserci; e la solitudine dell'uomo di vetro è la peggiore delle malattie, della malattie del vivere.
[da L'uomo di vetro: la forza della fragilità. Rizzoli, 2008]
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