Sornicola a 'Come alla Corte': come e perchè cambiano le lingue

Il tema del cambiamento delle lingue, al pari di quello della loro diversità, è stato spesso oggetto di riflessione da parte non solo dei linguisti, ma anche di letterati e filosofi, e può persino destare interessi e curiosità in persone lontane dal mondo della ricerca, da cui capita a volte di ascoltare ipotesi e congetture al riguardo che, sebbene prive di fondamento scientifico, sono degne di attenzione per ciò che ci dicono sui parlanti stessi e sugli atteggiamenti culturali che li caratterizzano. Le lingue fanno parte della nostra vita quotidiana, sono parte integrante e vitalissima del mondo umano, dunque ogni parlante si sente in diritto di sviluppare delle "teorie", più o meno ingenue, sui cambiamenti che le coinvolgono, non meno che intuizioni sul loro funzionamento e prognosi su ciò che può loro succedere. In realtà, non c'è niente di più infondato di queste prognosi.
La riflessione filosofica sul mutare delle lingue era già presente nell'antichità classica. Il tema del mutamento definì in maniera costitutiva la formazione dei paradigmi della linguistica scientifica ai suoi inizi, tra Sette - e Ottocento, ed è rimasto ancora oggi una delle grandi aree di ricerca delle scienze del linguaggio. È però un rompicapo, sotto più rispetti. Intanto, in generale è di per sé inosservabile (eccezion fatta per la modesta consapevolezza da parte di singoli parlanti che una determinata parola o costruzione è uscita dall'uso). Inoltre, se - come si è a lungo ritenuto - una lingua è un sistema di strutture ben interconnesse e quindi dotato di una sua inerzia, cosa può metterlo in crisi, provocandone il cambiamento e la riconfigurazione in un altro sistema, e perché? Sappiamo da tempo che una lingua è un insieme di forme simboliche, che hanno un'esistenza solo nella mente dei parlanti, ma che possono essere continuamente destabilizzate dai comportamenti linguistici di questi ultimi, in cui trovano realizzazione.
Un tale principio generale, però, costituisce solo il punto iniziale della ricerca. Durante il Novecento sono stati raffinati e riorganizzati i dati empirici e i modelli di rappresentazione del cambiamento elaborati nel secolo precedente, si è accumulata una mole imponente di altri dati e nuovi modelli sono stati messi a punto. In particolare, si è acquistata consapevolezza della grande complessità dei fattori in gioco: fattori strutturali, interni, molti dei quali sono in rapporto alle proprietà universali delle lingue, o alle loro proprietà tipologiche, e fattori esterni, che riguardano aspetti delle società e i comportamenti e gli atteggiamenti dei parlanti che le usano. I primi implicano spesso cambiamenti lentissimi, anche sull'arco di millenni, o addirittura agiscono da condizione di limite al mutamento. I secondi invece possono indurre perturbazioni profonde: in gioco sono eventi di portata significativa, come guerre e rivoluzioni, o anche trasformazioni politiche e sociali di lungo periodo; inoltre, condizioni come le forme di vita associativa, la compattezza della società, il suo livello di sviluppo culturale attraverso scuole e accademie, la presenza di tradizioni letterarie; e ancora: l'incidenza della oralità, il livello di alfabetizzazione della massa dei parlanti, il loro senso d'identità comunitaria o nazionale, la fedeltà alla lingua, e persino l'atteggiamento emotivo rispetto a questa. Insomma, tutta la ricchezza del mondo storico.
Abbiamo molte descrizioni plausibili di come siano cambiate determinate lingue, ma è molto più
; difficile costruire una teoria del perché cambino, che tenga separate rappresentazioni e ideologie. Non c'è da meravigliarsi, se ricordiamo che la linguistica è parte integrante delle scienze dell'uomo.
Rosanna Sornicola
Professoressa di Linguistica generale
Università degli Studi di Napoli Federico II
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