Vesuvio e Pompei: la ricerca scientifica tra geologia e archeologia

Vesuvio e Pompei: la ricerca scientifica tra geologia e archeologia

In un lavoro di imminente pubblicazione su Journal of Volcanology and Geothermal Research dal titolo "Evidence for Holocenic uplift at Somma-Vesuvius" vengono discussi nuovi dati emersi dagli scavi archeologici condotti nell'insula dei Casti Amanti a Pompei.

Sullo sfondo, un approccio olistico, che permette di tenere in debito conto le incertezze delle singole analisi disciplinari nell'interpretazione di un sistema complesso come quello naturale. I ricercatori coinvolti (Aldo Marturano, Giuseppe Aiello, Diana Barra, Lorenzo Fedele, Celestino Grifa, Vincenzo Morra, Ria Berg e Antonio Varone) sono geologi e archeologi appartenenti all'Osservatorio Vesuviano, all'Università Federico II, alla Università del Sannio, alla Soprintendenza Archeologica di Pompei, all'Università di Helsinki.

L'intera Piana Campana e lo stesso apparato vulcanico vesuviano sono solitamente considerate strutture che lentamente affondano con velocità dell'ordine di alcuni millimetri all'anno. Ci sono invece nuove evidenze che da alcune migliaia di anni sia in atto un movimento inverso che ha sollevato l'area pompeiana di alcune decine di metri ad un tasso medio di 5 mm all'anno.

Come provato da sondaggi eseguiti, anche per Pompei, l'occupazione del sito inizia nel Neolitico. Al di sotto dei vari battuti stradali che si sono succeduti a partire dal 200 ca. a.C., si stanno rinvenendo frammenti ceramici databili al Neolitico finale (~4000 anni a.C.) e riconducibili alla facies archeologica di "Diana", diffusa in Italia centro-meridionale e in Sicilia. L'analisi mineralogica e petrografica dei reperti ha mostrato una omogeneità compositiva da ricondurre ad una produzione di origine locale.

Nello stesso strato sono stati rinvenuti frammenti di ossidiana che hanno evidenziato una composizione che esclude una provenienza locale (Vesuvio, Campi Flegrei, Ischia) o dalle isole Eolie. I dati petrografici indicano una sicura provenienza dall'isola di Pantelleria.

I reperti neolitici sono a contatto con le "pomici di Mercato" riferibili ad un evento esplosivo avvenuto circa 8000 anni fa. Pertanto, dal piano di calpestio romano di Pompei, su cui si sono depositate le pomici del 79 d.C., al top del paleosuolo su cui si rinvengono le pomici di Mercato, sono racchiusi i circa 6000 anni che separano queste due grandi eruzioni. Tra questi due orizzonti ben definiti temporalmente è stata individuata la facies archeologica di Diana (~4000 a.C.).

Allo stesso livello dei reperti neolitici e delle pomici, ovvero a circa 25 m sul livello marino attuale, sono stati rinvenuti fossili di chiara origine marina. L'area pompeiana si è sollevata almeno di ~30 m negli ultimi 6.000 anni ad un tasso medio di 5 mm all'anno.

Le implicazioni scientifiche che possono discendere dallo studio aprono nuovi interrogativi e possibili scenari su un complesso vulcanico la cui pericolosità è enorme. Ancora una volta le parole chiave devono essere previsione e prevenzione ed il ruolo del geologo su questi temi è irrinunciabile.


Aldo Marturano, Vincenzo Morra






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