Chirurgia come arte
La chirurgia non è più un più un mestiere come al tempo degli inglesi, che chiamavano il barbiere perché eseguisse interventi chirurgici minori, quali evacuazione di ascessi, amputazioni di arti ed altre procedure comunque volgari, su indicazione del medico, al quale spettava il compito di formulare una diagnosi e di indicare la terapia, ma non il trattamento manuale, riservato appunto al barbiere. Ancora oggi, nel Regno Unito, il chirurgo viene indicato con l'appellativo di "sir", nel ricordo delle sue origini. Il neurochirurgo, poi, ha un ulteriore quotidiano riscontro delle sue origini nella pratica della rasura dei capelli del paziente, preliminare alla craniotomia! In realtà da decenni la chirurgia è uscita dagli angusti confini di una pratica manuale, per avvalersi di tutte le conoscenze e gli strumenti di una scienza medica a pieno titolo, attingendo diffusamente alla genetica, alla biologia molecolare, alla fisica, alla radiobiologia, ala radioterapia, etc. Chirurgia come professione e non come mestiere è certamente una conquista dell'era moderna. Ma oggi credo siamo sul punto di una ulteriore svolta, perché si può parlare di chirurgia come arte, al di là di qualche prestazione eccezionale di singoli chirurghi dotati di spiccato talento. Così come arte è quella degli antichi delle ere lontane, quella degli eroi del rinascimento, la grande arte figurativa di ogni tempo, parimenti arte è l'arte concettuale del XX secolo, l'arte di un'idea attraverso l'espressione di un gesto o di un segno. Il chirurgo, che studia lungo l'arco di tutta la sua vita e rifinisce le proprie conoscenze anatomiche con ogni mezzo, dallo studio sulle tavole alla dissezione anatomica sul cadavere, dalla radiografia per immagini alla simulazione tridimensionale al computer, per ogni intervento che effettua individua un percorso per arrivare al traguardo, che raggiunga il fine prefissato ed eviti gli ostacoli e le complicanze. Svolta questa fase preliminare fondamentale, dà corpo alla sua interpretazione Corpo può aversi, oggi, anche a distanza, mediante la telemedicina, la chirurgia robotica, le mille ed una magie che la comunicazione a distanza consente sotto il profilo operativo e didattico.
Non si scandalizzino i virtuosi del gesto chirurgico, i campioni della sala operatoria, i chirurghi all'antica. Non vi sono fantasmi dietro il palcoscenico, non si agita niente contro di loro, non saranno soppiantati, se non perdono il tram del progresso. Si preparino piuttosto i chirurghi di oggi e di domani ad interpretare un ruolo consono ai tempi, che non è lontano dalla manualità, dalla materia, e dalla sala operatoria, ma che si va evolvendo e sviluppando nella individuazione di concetti ed idee che possono tradursi in realtà anche attraverso espressioni concrete minime, ma non per questo meno pregnanti. Così come il celebre scrittore argentino Jorge Luis Borges indica il libro come estensione della mente, per il chirurgo l'estensione del concetto è il gesto operatorio, che oggi è sempre meno cruento, mediato da una esecuzione semplice e possibilmente elegante, attraverso uno o più strumenti. Troppo sangue è già stato versato, ci dobbiamo adoperare per una stagione di pace, sublimata dalle forme di arte più semplice e sublime. Non mi piace ammiccare alle mode e per questo non parlo di chirurgia virtuale, perché virtuale è un aggettivo spesso abusato, ma di chirurgia concettuale credo sia lecito oggi parlare e di arte si tratta, basta soltanto avvicinarla e non trattarla con sufficienza o disprezzo.
Quali che siano le proprie idee personali, il proprio gusto e la propria sensibilità, bisogna saper cogliere la trasformazione della creatività umana, il che non è sempre
facile, soprattutto per le persone avanti negli anni e persino per grandi menti innovative. Pablo Picasso ad esempio, che certamente folgorò un secolo artistico con la sua genialità, passando da una straordinaria pittura classica alle invenzioni che assunsero negli anni varie forme e colori, non senza speciali sconvolgimenti, affermò che il computer era uno strumento inutile, capace di dare soltanto risposte. Il paradosso ovviamente esprimeva la sua ostilità verso uno strumento sconosciuto ed una lingua nuova, lui proprio che era stato in grado di parlarne tante, in una forma decisamente rivoluzionaria.
di Paolo Cappabianca - Professore Straordinario di Neurochirurgia della Federico II
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