Alla scoperta dell'antimateria primordiale e della materia oscura

Alla scoperta dell'antimateria primordiale e della materia oscura

Nel momento della creazione dell'Universo, cioè all'epoca del Big Bang, furono generate particelle elementari primordiali che nelle successive fasi di espansione dell'Universo stesso si aggregarono a formare atomi, molecole, pianeti e stelle. Alcune missioni spaziali, portano esperimenti montati su satellite che permettono di catturare queste particelle primordiali e di analizzarne le proprietà. In tale ambito, particolarmente dirompenti per le loro implicazioni scientifiche, sarebbero la rivelazione di antimateria primordiale, che potrebbe aprire la strada alla scoperta di un possibile antiuniverso, e la rivelazione della materia oscura: argomenti che da quasi mezzo secolo appassionano la comunità degli astrofisici e dei fisici astroparticellari. Ma cosa è l'antimateria? Ancora oggi è difficile rispondere in modo intuitivo a questa domanda. Da un punto di vista fenomenologico, la teoria mostra che per ogni particella esiste una antiparticella, cioè una particella assolutamente identica alla prima ma con carica elettrica di segno opposto. Quando una particella e l'antiparticella corrispondente si incontrano, si ha l'istantanea conversione delle loro masse in energia elettromagnetica e, eventualmente, in altre particelle elementari. I fisici chiamano questo processo "annichilazione". Ma perché è importante studiare le proprietà dell'antimateria cosmica? Le leggi di conservazione implicano che, all'epoca del big bang, per ogni particella di materia dovrebbe essere stata creata anche la sua antiparticella. Quindi, materia ed antimateria dovrebbero essersi annichilate completamente ed oggi dovrebbe esserci solo radiazione. Il fatto che non sia così, e che l'universo, almeno nelle nostre vicinanze, sia composto esclusivamente di materia pone un grande ed ancora irrisolto problema alla fisica moderna.

Il primo esperimento al mondo per attuare questo programma scientifico del tutto nuovo rispetto alle classiche missioni spaziali, è stato realizzato da un gruppo di Università Italiane, Bari, Firenze, Napoli Federico II, Roma Tor Vergata e Trieste in collaborazione con Istituzioni Russe, Tedesche e Svedesi. Oltre a queste Istituzioni, l'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare e l'Agenzia Spaziale Italiana hanno contribuito in modo importante e significativo alla missione. L'esperimento Pamela è montato su un satellite Russo Resurce DK1 che lo scorso 15 giugno e' stato lanciato con un razzo Soyouz dal cosmodromo di Baikonur e che, almeno secondo le previsioni, è destinato a rimanere in orbita per tre anni. Il lancio si è svolto perfettamente e circa un quarto d'ora dopo avere lasciato la rampa, il satellite è entrato in orbita polare a circa 600 Km di altezza e, dopo una settimana di assestamento dell'orbita, l'esperimento ha iniziato la trasmissione dei dati, confermando il perfetto funzionamento di tutte le sue parti.
I dati sono attualmente inviati ad una stazione ricevente a Mosca e vengono scaricati ad ogni rivoluzione completa intorno alla terra. Per dare un'idea dell'esperimento, lo si può immaginare come un volume di circa mezzo metro cubo contenente rivelatori di altissima tecnologia e tutte le complesse apparecchiature elettroniche necessarie per leggere e trasmettere i segnali rivelati. I potenti e sofisticati rivelatori elettronici sono puntati costantemente dalla parte opposta alla terra guardano il lontano cosmo e così i segnali delle particelle primordiali vengono captati, registrati ed inviati alle stazioni riceventi a terra. Come nota interessante va sottolineato che l'intero esperimento pesa 400 chili ed ha a disposizione 100 Watt di potenza elettrica, equivalenti al co
nsumo di una normale lampadina. I gruppi del Dipartimento di Scienze Fisiche dell'Università Federico II di Napoli e della Sezione di Napoli dell'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare che hanno collaborato all'esperimento Pamela, hanno contribuito all'esperimento in modo sostanziale costruendo, non solo uno di questi rivelatori elettronici corredato di materiali e tecnologie di avanguardia, ma realizzando anche il cervello elettronico che, in base alle informazioni provenienti da tutti i rivelatori dell'esperimento, è capace di decidere e di selezionare automaticamente le particelle primordiali di cui si è alla ricerca. Va esplicitamente detto che, a differenza di quanto è accaduto nel caso di altre missioni spaziali, Pamela è stato il primo caso in cui un esperimento così complesso è stato interamente progettato, realizzato ed integrato non da ditte appaltatrici ma all'interno dei dipartimenti universitari e delle sezioni dell'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare coinvolti nell'esperimento. I ricercatori, lavorando in stretta collaborazione con le industrie specializzate, hanno dovuto affrontare e risolvere tutti i problemi connessi con le qualifiche spaziali sia di carattere meccanico che elettronico, che sono tipiche di un esperimento inviato nello spazio. Al riguardo, basterà pensare alle enormi sollecitazioni che la struttura meccanica subisce in fase di lancio (accelerazioni violente che possono giungere fino a 20 volte l'accelerazione di gravità) e che impongono alla meccanica del rivelatore di rispondere e stringenti requisiti di sicurezza. Ciò ha comportato la realizzazione di un modello in cui le singole parti prima, e l'insieme poi, sono stati sottoposti alle simulazioni delle sollecitazioni che si sarebbero verificate durante il lancio. Inoltre l'inaccessibilità delle parti elettroniche ed il rischio di danneggiamento dei componenti durante i passaggi del satellite nelle fasce di Van Allen hanno richiesto un accurato studio di ridondanze delle parti più critiche allo scopo di ridurre le probabilità di rottura.
Il nostro Dipartimento di Scienze Fisiche, avendo avuto un ruolo primario nell'esperimento, ha sviluppato attraverso la partecipazione a questa missione una notevole esperienza nella progettazione meccanica ed elettronica nonché tutte quelle competenze che sono necessarie per qualificare secondo protocolli internazionali la strumentazione destinata ad ambienti ostili come e' in questo caso lo spazio. Non rimane ora che analizzare i dati dei prossimi tre anni e cercare risposte su questi due grandi temi di ricerca fondamentale: antimateria primordiale e materia oscura.

Professore Giancarlo Barbarino
Dipartimento di Scienze Fisiche


Per informazioni:
prof. Giancarlo Barbarino - Dipartimento di Scienze Fisiche

mailto:giancarlo.barbarino@na.infn.it

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