Briciole di pane

Secondo Policlinico

Secondo Policlinico

Di Alessandro Castagnaro

Il complesso ospedaliero nasce a seguito dello sdoppiamento del Policlinico, i cui padiglioni erano ubicati originariamente nel centro storico della città, molto spesso in complessi conventuali e monumentali riconvertiti a uso di nosocomio. Per carenza di spazi e per la difficile accessibilità, nel 1964, l’Ateneo deliberò lo sdoppiamento in I e II Policlinico, prevedendo la realizzazione di una cittadella medica universitaria nella zona collinare di Napoli dove, già dal 1930, andavano a insediarsi, grazie anche alla salubrità dell’aria caratterizzata da una cospicua presenza di verde con alberi di alto fusto e aree agricole, gli ospedali Cardarelli, il tubercolosario Principe di Piemonte (oggi Ospedale Monaldi) e la Fondazione Pascale per la cura dei tumori. L’intero complesso – sorto su una superficie di quasi 50 ettari, nell’area fortemente urbanizzata del Vomero Alto, a carattere residenziale, ma ancora circondata da ampie zone boschive e di grande pregio paesaggistico, tra i Camaldoli e lo Scudillo a sud, la selva di Chiaiano e il Vallone di San Rocco a nord – è frutto di un appalto-concorso per la cui stesura fu incaricato Corrado Béguinot, noto professore di Urbanistica della Facoltà di Ingegneria dell’Università degli Studi di Napoli. Il planovolumetrico redatto si basò, con una concezione all’epoca all’avanguardia, su strutture che coniugavano finalità di ricerca, di didattica e ospedaliere, prendendo a modello numerose realtà analoghe sparse in vari paesi italiani e stranieri. I modelli assunti non furono solo di carattere urbanistico e architettonico, ma tennero conto, oltre che delle esigenze dell’assistenza sanitaria, anche degli aspetti sociali e psicologici del degente e delle nuove metodologie legate all’istruzione universitaria. Il progetto fu vinto da un folto gruppo di architetti che ebbero come capo gruppo Carlo Cocchia, professore di Architettura e tra i professionisti più noti in città, grazie alle molteplici realizzazioni dalla fine degli anni Trenta in poi. Assieme a lui il gruppo di progettazione era costituito da Cesare Blasi, Fabrizio Cocchia, Massimo Nunziata, Gabriella Padovano, Michele Pizzolorusso e fu affiancato, per gli aspetti urbanistici, dallo stesso Béguinot. L’impianto con due diversi ingressi – uno da via Sergio Pansini e l’altro a nord-ovest a via Orsolona ai Cangiani – si sviluppa su una vasta area di oltre 440 mila metri quadrati, con un’originaria volumetria di 900.000 metri cubi distribuiti in diciannove istituti clinici, nove istituti biologici, tre istituiti anatomici, un centro direzionale, attrezzature e impianti centralizzati. Esso ha una capienza di tremila posti letto ed è articolato seguendo dei criteri ben definiti. Si evidenziano l’unificazione della degenza, degli istituti e delle cliniche mediche e chirurgiche in corpi lamellari multipiano che rendono possibile l’aerazione e l’illuminazione naturale per le camere con tre asole orizzontali che consentono la visione verso l’esterno nelle tre diverse posizioni del malato: steso, seduto e in piedi. La stessa aerazione e illuminazione si ha per il corridoio, per la massima parte del suo sviluppo orizzontale. Si aggiungono: un tessuto a due piani di edifici destinati ad attività didattiche, scientifiche e amministrative, che rappresentano anche gli elementi di raccordo tra i volumi delle cliniche; una serie di edifici speciali, dalle morfologie autonome, come la “torre degli istituti” e la piastra destinata alla presidenza, alla grande aula magna e al centro direzionale, la cui copertura è attrezzata come cavea all’aperto. La torre, a pianta quadrata, è sviluppata simmetricamente sulla diagonale, con una spina centrale nella quale sono contenuti tutti gli impianti. Gli edifici delle cliniche sono disposti secondo l’asse eliotermico, con dei prospetti costituiti da un gioco di vuoti e pieni. In altri interessanti edifici con una conformazione a ziggurat sono collocati gli istituti anatomici, illuminati da luce zenitale. I diversi corpi sono collegati, in sotterraneo, con una serie di tunnel di passaggio, mentre le aree esterne, oltre a contenere i viali carrabili e pedonali, distinti per percorsi, sono attrezzate a verde con pregevoli e curate sistemazioni. Da un punto di vista architettonico i riferimenti al Movimento Moderno e ad altre opere di maestri del Novecento sono evidenti: dalle siedlungen realizzate in Germania negli anni Venti e Trenta, alle torri dei laboratori Richards progettate da Louis Kahn per l’Università di Pennsylvania ad alcuni riferimenti di modelli wrightiani che hanno ispirato parti della torre biologica. L’intero complesso, inaugurato nel 1973, fu realizzato con strutture in cemento armato prefabbricato che consentirono la rapidità di esecuzione, materiale allora sperimentale, che, nel tempo, ha evidenziato notevoli carenze quanto a durata. In sintesi, come è stato notato da Renato De Fusco, il Secondo Policlinico manifesta una sorta di pluralismo delle fonti che, tuttavia, non si è tradotto in una espressione eclettica, il tutto riconducendosi a una autonoma e inedita immagine unitaria. Il nuovo Policlinico, all’epoca della costruzione, destò grande interesse, sia per le ardite soluzioni architettoniche che per l’impianto urbano, meritando elogiativi articoli sulle più importanti riviste d’architettura come «Casabella» e «L’Architettura. Cronache e storia».

Dal volume "Passeggiando per la Federico II" (seconda edizione aggiornata) a cura di Alessandro Castagnaro - fotografie di Roberto Fellicò - FedOAPress