Complesso di Santa Maria di Donnaromita
Complesso di Santa Maria di Donnaromita
di Alfredo Buccaro
Il complesso appare oggi come il risultato di una ricca stratificazione, a partire dall’originario monastero quattrocentesco sorto nel luogo di più antichi cenobi siti presso il decumano inferiore.
Con riferimento alla veduta di Dupérac-Lafréry (1566), oltre al Seggio di Nido e alla chiesa di Sant’Angelo a Nilo, divisi da una stradina che segue già il tracciato del futuro vico Donnaromita, sono indicate a sud alcune fabbriche a corte non ben identificabili e una cortina edilizia che fiancheggia la «strada a Nido», l’attuale via Paladino.
Non è raffigurato il vico Orilia, né la chiesa di Donnaromita, sebbene l’edificazione di quest’ultima risulti già iniziata nel 1550, forse su disegno di Giovan Francesco di Palma: la fabbrica presentava in origine una navata con cinque cappelle per lato, ridotte a quattro in occasione della ricostruzione del convento sul volgere del XVI secolo: i lavori cominciarono nel 1580 sotto la direzione di Vincenzo della Monica, terminando nel 1590.
Nella veduta citata si scorgono ancora i quattro edifici a corte che avrebbero lasciato il posto al nuovo convento: i primi due verso Sant’Angelo a Nilo sembrano essere nel luogo ove sorse il chiostro piccolo; sugli altri fu costruito il chiostro grande e aperta una stradina detta «vicolo dei pidocchi» (oggi via Orilia).
Nella veduta di Alessandro Baratta (1629) la chiesa di Donnaromita domina l’ampio chiostro annesso; sono pure individuabili il Seggio, il vico Donnaromita e una serie di costruzioni che occupano lo spazio tra il «vicolo dei pidocchi» e l’alto muro del convento.
Intorno al 1639 fu costruito un nuovo dormitorio su progetto di Pietro de Marino, allievo di Francesco Antonio Picchiatti, e nel 1703 furono create nuove celle al piano superiore; una loggia con belvedere venne commissionata dalle monache all’architetto Domenico Barbuto e al capomastro Aniello de Marino.
Le opere riguardarono essenzialmente l’ala sud-occidentale del chiostro grande, rifacendosi in tale occasione i tetti e il muro della clausura verso via Mezzocannone.
Dal 1762 al 1772 si procedette a ulteriori interventi all’interno del monastero, venendo costruito, sotto la direzione dell’ingegnere Giovanni del Gaizo, un nuovo belvedere lungo la strada del Salvatore, mentre dal lato del convento di Monteverginella furono aperte due file di finestre.
Nella stessa epoca furono creati alcuni ambienti verso settentrione su disegno di Giuseppe Astarita, da destinarsi a parlatorio e refettorio, nonché la nuova porteria su vico Donnaromita con l’annessa porta carrese, recante sul portale un ricco fastigio con epigrafe.
Tali locali risultano oggi profondamente trasformati, mentre la porteria è purtroppo ridotta, dopo la tamponatura dei vani attigui, al solo locale centrale a pianta ellittica, definito da pareti modulate da paraste e da una cupoletta a scodella.
Il convento fu soppresso nel gennaio 1808, ma lasciato in uso alle religiose; ma le monache, ridotte ben presto di numero, nel 1824 si trasferirono in San Gregorio Armeno e il monastero fu destinato a sede dell’Alta Corte Militare, dell’Orfanotrofio e della Commissione dei Vestimenti.
In una nota del direttore della Regia Scuola d’Ingegneria di Napoli, Fortunato Padula, indirizzata il 12 gennaio 1865 al sindaco di Napoli, si legge che all’indomani del decreto del 30 luglio 1863, con cui fu riformata la Scuola murattiana, l’antico complesso di Donnaromita era stato destinato a sede di quell’istituzione, venendo redatto un progetto di adeguamento dall’ingegnere del Genio Federico Travaglini; le opere, finanziate dall’Università, erano state quindi approvate dal Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici ed eseguite quasi totalmente entro il 1864.
Mentre però potevano dirsi completate le aule per le lezioni e i locali per le esercitazioni di chimica e per gli esperimenti di matematica applicata, nonché le sale per le collezioni, si avvertiva ancora l’urgenza di rifare la facciata su via Paladino, ove era l’ingresso cinquecentesco del convento.
Le piante della Scuola d’Ingegneria ai vari livelli e il prospetto eseguito, pubblicati dal nuovo direttore Ambrogio Mendia nel 1884, risultano assai utili non solo perché registrano lo stato dei luoghi in seguito ai lavori postunitari, ma in quanto mostrano ancora con evidenza l’articolazione di alcune parti dell’antico impianto conventuale.
Verso il 1910, nell’ambito del Piano di Risanamento, che comprendeva anche l’allargamento e la sistemazione altimetrica di via Mezzocannone, si pensò di ristrutturare l’intero corpo prospiciente la strada, inglobando alcune fabbriche contigue al complesso dal lato della Biblioteca Brancacciana e sopprimendo interamente l’antico atrio di Santa Lucia.
Il progetto redatto dal Genio Civile consistette nella sistemazione generale e sopraelevazione della nuova ala: i lavori, iniziati nel 1913, andarono a rilento fino a essere sospesi con il sopraggiungere della guerra, venendo ripresi nel 1920, ma di nuovo interrotti per mancanza di fondi.
Erano comunque state eseguite tutte le opere previste al pianterreno e ai piani superiori della parte ricostruita e completata la facciata in forme neorinascimentali, con il rivestimento del corpo centrale in pietra da taglio.
Furono così sistemati i gabinetti di Elettrochimica e Chimica organica, Chimica tecnologica e inorganica, Architettura tecnica e la Sezione navale.
Ulteriori opere condotte negli anni 1925-1928 riguardarono il completamento del corpo centrale, la sopraelevazione del tratto più a monte, nonché l’impianto di un ascensore nello scalone principale; fu così possibile sistemare i gabinetti di Chimica docimastica, Chimica analitica e Metallurgia al primo piano, gli uffici di direzione e amministrazione al secondo e le aule per l’insegnamento al terzo.
A quest’epoca risale anche il brutto corpo di fabbrica che tuttora occupa parte dell’antico giardino claustrale, nonché quello addossato al lato sud-ovest del chiostro piccolo.
Nella nuova ala fu sistemato al pianterreno il gabinetto di Aerodinamica, al primo trovarono posto i gabinetti per i motori a combustione interna, per le costruzioni in legno e ferro e per le ferrovie, al secondo l’economato, il gabinetto macchine e le aule per le lezioni; infine, al terzo i gabinetti di Fisica terrestre, Costruzioni aerodinamiche e Impianti elettrici.
In conclusione il nuovo corpo occidentale, di quattro piani oltre lo scantinato, venne a completare la quinta su via Mezzocannone, facendo seguito alla riduzione architettonica attuata sul fianco del complesso del Salvatore e alla facciata laterale del nuovo edificio dell’Università prospiciente corso Umberto I.
Nel secondo dopoguerra si sono susseguiti interventi tesi al mero reperimento di spazi, con assoluta mancanza di riguardo per il complesso monumentale: negli anni Sessanta, per destinare i locali ad accogliere gli Istituti di Chimica, fu coperta anche la loggia dell’ala a nord-est ed eseguite sopraelevazioni d’ogni tipo, di infima qualità architettonica.
Dal volume "Passeggiando per la Federico II" (seconda edizione aggiornata) a cura di Alessandro Castagnaro - fotografie di Roberto Fellicò - FedOAPress