Briciole di pane

Palazzo Reale di Portici

Palazzo Reale di Portici

di Massimo Visone

Amalia al Granatello dove, colpiti dalla sua amenità, avrebbero deciso di erigervi una residenza. Ma è più probabile che ad attirare i Borbone siano stati i ritrovamenti dell’antica Ercolano a opera del principe d’Elboeuf. Nel 1738 si avviarono i lavori per il palazzo, mentre i sovrani seguivano gli scavi archeologici alloggiando presso le ville Palena e Santobono situati a monte e a valle della strada. Nonostante l’incombenza del Vesuvio in eruzione, si passa dalla prima idea di ristrutturare edifici esistenti all’elaborazione di un progetto unitario, che comprendesse acquisizioni contigue, scavalcando in tal modo la Strada delle Calabrie. Inizialmente il re affida i lavori a Giovanni Antonio Medrano. Dal 1741 Antonio Canevari lavorò alla reggia e dal 1752 anche Luigi Vanvitelli, il quale interviene sull’acquedotto e con opere di completamento del progetto di Canevari, di cui si riconoscono ancora i primi allestimenti della statuaria romana nel palazzo superiore. Dal 1764 anche Ferdinando Fuga è a Portici per un ampliamento dell’Herculanense Museum sito al suo interno e per il parco. L’edificio si sviluppa su tre piani principali: piano terra, piano nobile e secondo piano, intervallati da piani ammezzati. Dal cortile – che riveste l’aspetto e le funzioni di una place royale – si accede all’atrio porticato del palazzo inferiore, che dà accesso allo scalone principale a due rampe, con pareti e soffitti affrescati (1743-1746) a finte prospettive da Vincenzo Re e Crescenzo La Gamba. Coeve sono la seguente Sala delle Guardie – sul soffitto è La Verità svelata dal Tempo assiste al trionfo delle Virtù e alla sconfitta dei Vizi – e la Prima anticamera, con l’Allegoria dell’Aurora che mette in fuga il buio della notte. Il risultato è una significativa architettura tardobarocca, grazie alla sua peculiare collocazione topografica, ai dislivelli altimetrici, alla differenziazione delle facciate e alla varietà delle vedute, sintetizzando in un’unica opera le specificità delle ville vesuviane, come la presenza di stanze affrescate con cineserie da Antonio Cipullo. La costruzione del parco appare altrettanto articolata e con risultati di grande interesse. Una pianta della seconda metà del Settecento accredita al giardiniere fiorentino Francesco Geri l’ideazione botanica iniziale, ciò non escluderebbe una collaborazione con gli architetti intervenuti sul cantiere: Medrano e Canevari in primis; Vanvitelli, Fuga e Michele Aprea all’opera rispettivamente per il Boschetto (1759), il Gioco del Pallone (1764) e il Castello (1775), con una cappella e una torre osservatorio. Oltre alle restanti parti di bosco, si trovano aree agricole e altre fabbriche di stampo pittoresco, come gli edifici della Real Pagliaia e quello della Vaccheria, verso la chiesa di Santa Maria a Pugliano. Diversamente da Capodimonte, a Portici l’impianto non presenta una geometria unitaria. Al contrario, risalta una discrasia tra il Bosco Inferiore e quello Superiore e altrettanto avviene al loro interno. Si riscontra l’adeguamento del progetto alle preesistenze e a una diversa progettualità. L’adesione al modello di Versailles mostra una più tiepida interpretazione formale e dimensionale, che troverà la sua compiuta traduzione solo a Caserta, su cui convergeranno gli interessi dei reali. Durante il decennio francese, Carolina Murat rivolge la sua attenzione ad adattare gli interni al gusto neoclassico. Un programma rimasto incompleto, ma di cui restano tracce negli affreschi della Sala Pompeiana. Nel Bosco Inferiore, tra il 1814 e il 1815, Vincenzo Paolotti e Giovanni Graefer trasformano la prateria, che collega l’appartamento della regina con il nuovo Bagno al Granatello, in un giardino all’inglese dotato di un laghetto artificiale. Negli anni Venti si registrano altri interventi, a cui si interessa Francesco I, appassionato cultore di agronomia, per la realizzazione della Montagnola nel bosco di Mascabruno con il terreno dello scavo di Ercolano. In anni successivi il giardiniere Federico Dehnhardt lavora alla formazione di nuovi viali e si inseriranno architetture effimere. Nel 1839 prendeva avvio un lento processo di frazionamento con la parziale cessione della tenuta di caccia a Resina e con la costruzione della stazione ferroviaria al Granatello, mentre la realizzazione della linea ferroviaria Napoli-Portici contribuiva a interrompere la continuità della vasta proprietà, il cui limite superiore è stato segnato dalla ferrovia vesuviana nel 1904 e dall’autostrada per Pompei nel 1929. Nel frattempo, nel 1871 la reggia era stata venduta alla Provincia di Napoli, con parte del parco inferiore trasformato nella Villa comunale di Portici. Nel 1872 nasce nella reggia la Scuola Superiore di Agricoltura e ancora oggi nella parte più monumentale ha sede il Dipartimento di Agraria, dislocato in particolare nel Palazzo Reale, nel bosco superiore e in parte di quello inferiore, con numerosi istituti di ricerca disposti al suo interno. Tra le realizzazioni più recenti, si segnala il restauro e la ristrutturazione di Palazzo Mascabruno (1980-1992) per adeguarlo alle nuove istanze universitarie a opera di Pica Ciamarra Associati. Nel 2002 si è avviato un virtuoso percorso di recupero e di riqualificazione per far convivere le istanze scientifiche dell’Università degli Studi di Napoli Federico II e quelle della conoscenza, della conservazione e della tutela della Soprintendenza, con l’intento di valorizzazione il patrimonio della reggia e consentire la fruizione del sistema di beni sedimentati al suo interno nel corso del tempo. Il progetto include collaborazioni, promozione di nuove forme museali e restauri, come quello del monumentale galoppatoio (2021) che rappresenta, con quello di Vienna, un rarissimo esempio di maneggio coperto. Nel 2009 è stato aperto l’Herculanense Museum: una rivisitazione, in chiave multimediale, del museo fondato nel 1758 e dal 1822 sito nell’attuale Museo Archeologico Nazionale. Nel 2011, per valorizzare la storia della Scuola di Agraria è istituito il MUSA. Il complesso museale in divenire, uno dei centri museali di ateneo, comprende, oltre al museo ercolanese, l’Orto Botanico (1872); il museo Botanico Orazio Comes (1877), ricco di erbari storici, acquarelli ottocenteschi e collezioni didattiche; il museo Entomologico Filippo Silvestri (1889); il museo Mineralogico Antonio Parascandola (1990); il museo di Meccanica Agraria Carlo Santini, che raccolse dagli anni Trenta la maggior parte delle macchine presenti nell’Istituto; il museo Anatomo-zootecnico Tito Manlio Bettini (1872); le collezione di strumentazioni scientifiche di chimica agraria, botanica e topografia; le biblioteche storiche, l’Orologio solare azimutale analemmatico (2015) e il Museo dell’arte del vino e della vita (2019).

Dal volume "Passeggiando per la Federico II" (seconda edizione aggiornata) a cura di Alessandro Castagnaro - fotografie di Roberto Fellicò - FedOAPress