L'Orto Botanico
L'Orto Botanico
di Massimo Visone
Il primitivo Real Giardino delle Piante «per la istruzione e per moltiplicarvi le spezie utili alla salute, alla agricoltura e alla industria» fu voluto dal botanico Michele Tenore e decretato da Giuseppe Bonaparte nel 1807, ma un giardino botanico era stato già concepito da Ferdinando IV, poi impedito dai moti del 1799. L’Orto botanico segna il punto di arrivo di una lunga tradizione botanica, ma altrettanto significativo è stato il ruolo dei suoi protagonisti nella formazione del giardino napoletano. Oggi questo centro universitario, sede del Dipartimento di Scienze Biologiche, custodisce alcune delle più importanti collezioni scientifiche d’Europa, per numero e qualità di esemplari, estendendosi per circa 12 ettari, sui cui sono coltivate circa 9.000 specie vegetali per un totale di quasi 25.000 esemplari, raggruppati in collezioni organizzate secondo criteri sistematici, ecologici ed etnobotanici. Durante la Seconda guerra mondiale e con il terremoto del 1980 il complesso fu rifugio per la popolazione colpita dal conflitto prima e dal sisma poi, con la rovina di molte strutture. A Paolo De Luca spetta il merito di avere ricostruito uno dei luoghi più suggestivi di Napoli. L’istituto rientra nel ridisegno napoleonide di via Foria, moderna strada d’ingresso alla città. Nel 1805 il primitivo giardino nel monastero di Monteoliveto era stato provvisoriamente destinato a “Orto botanico d’istruzione”, dal 1808 l’Orto fu sistemato nell’area compresa tra l’Albergo dei poveri e Santa Maria degli Angeli alle Croci. L’architetto è Giuliano de Fazio, che nel 1810 realizza sul terrazzamento artificiale una passeggiata alberata dedicata alla regina Carolina. Dal 1815 Vincenzo Paolotti è incaricato del completamento del complesso; suo è il prospetto con il bugnato piatto e la scala a tenaglia, simile a quella vicina di Ferdinando Fuga. Il giardino, allargato ai terreni prossimi al reclusorio, si dota di un impianto innovativo nella distribuzione delle raccolte. Sui pendii che fiancheggiano le aiuole squadrate per le piante officinali erano stati messi a dimora insiemi vegetali raccolti per aree geografiche allestiti secondo il gusto del giardino all’inglese. Sulla pianta allegata alla pubblicazione del discorso inaugurale (1818) si osservano da un lato il Monticello di Minerva, il Labirinto di Bacco, il Prato del Cipresso e il Cerchio della Minerva e dall’altro i Monticelli del Platano, la Valletta e il Boschetto inglese di alberi indigeni ed esotici. Interventi di restauro successivi (1836-1838 e 1861-1866) del direttore Guglielmo Gasparrini modificheranno il complesso per adeguarlo alle nuove istanze della ricerca. Seguendo un percorso che parte dallo scalone, a sinistra è l’edificio neorinascimentale (1913-1920) progettato da Camillo Guerra per l’Istituto di Botanica, ove oggi sono la Sezione di Biologia vegetale, i laboratori e l’Erbario. A destra è l’area delle piante epifite, tipiche della foresta pluviale tropicale; poco oltre, la vasca rettangolare delle piante acquatiche; a occidente è il ricco Palmeto. Risalendo lo stradone, a destra è l’Arboreto, con essenze legnose viventi in natura in ambienti diversi, tra cui una pianta caucasica con una circonferenza alla base di circa cinque metri, un albero australiano con la corteccia dalla consistenza cartacea e il caratteristico albero pagoda originario dell’Iran. Al termine dello stradone si apre una scenografica cordonata a doppia rampa circolare che racchiude piante della macchia mediterranea. Qui è il busto di Domenico Cirillo, medico e botanico a cui è dedicato l’asse principale del complesso. Limitano la cordonata l’area delle gimnosperme e una struttura ad anfiteatro degli anni Sessanta per le succulente. Risalendo si arriva al nucleo meglio conservato dell’impianto neoclassico. Una vasca di marmo con ninfee è posta al centro dello spiazzo circolare, definito da una ringhiera con pilastrini di piperno e da quattro panche con piedi neodorici su un pavimento di cocci di terracotta. Sullo sfondo emerge la serra monumentale, intitolata al direttore Aldo Merola: una stufa temperata in cui trovano riparo piante tropicali e subtropicali. L’edificio progettato da de Fazio si compone di sei semicolonne tuscaniche addossate a pilastri, più altre due coppie alle estremità, il fregio è ornato di trenta metope che riproducono specie vegetali presenti all’epoca della costruzione, mentre alla base si trovano vaserie gradonate lineari e a emiciclo per le bulbose. Alla fine degli anni Sessanta, a nord-ovest, sull’area del vigneto, si insediano le Serre Luigi Califano, medico e botanofilo scomparso nel 1976, con un’importante collezione a livello mondiale di Cycadales con esemplari appartenenti a novanta specie. A est, dal viale Fridiano Cavara, direttore dal 1906 al 1929, si discende al Filiceto, nella valletta creata nel 1864 per le piante crittogame e alpine si riproduce la condizione utile per coltivare un’eccezionale collezione di felci arboree. Di fronte all’agrumeto è un castelletto del XVI secolo a pianta quadrata con torri cilindriche sopravvissuto alle trasformazioni; originariamente destinato alla scuola, oggi ospita il Museo di Paleobotanica ed Etnobotanica. A seguire sono l’area di Magnoliophyta; la Stazione sperimentale delle piante officinali (1933), per studiare le piante di utilità farmacologica e industriale; e la casina svizzera, con i campi sperimentali e il vivaio.
Dal volume "Passeggiando per la Federico II" (seconda edizione aggiornata) a cura di Alessandro Castagnaro - fotografie di Roberto Fellicò - FedOAPress