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Convento di San Pietro Martire

Convento di San Pietro Martire

di Emma Maglio

Il convento sorge all’incrocio fra corso Umberto I e via Porta di Massa, presso piazza Ruggiero Bonghi, su cui si affaccia la chiesa omonima: ospita oggi le attività afferenti al Dipartimento di Studi umanistici, nonché biblioteche, archivi e laboratori nel campo delle humanities.
La storia dell’edificio è ricca di eventi.
Il sito, prima sommerso dal mare, diventò edificabile per l’accumulo di depositi portati dal corso d’acqua che scorreva lungo via Mezzocannone, e Carlo II d’Angiò concesse qui alcuni terreni ai Domenicani perché vi costruissero una chiesa e un convento (1249-1301).
In una prima fase si trattò di edifici modesti, poi nel Cinquecento Giovan Francesco di Palma progettò un chiostro ispirato ai modelli rinascimentali (1570): sette arcate per lato su pilastri in piperno definivano un ambulacro su due livelli da cui accedere alle celle dei frati, alla chiesa, al refettorio e agli altri spazi conventuali.
I due livelli hanno un diverso sistema di copertura delle campate (volte a vela al piano terra, a crociera al primo piano), i pilastri non sono allineati verticalmente e al piano terra un basamento isola lo spazio interno con il pozzo al centro.
Al secondo piano, il corpo di fabbrica odierno era in origine una terrazza con vani di servizio.
A fine Cinquecento fu realizzato anche il progetto di fra Nuvolo per la chiesa, con pianta ad aula unica e sette cappelle per lato: la chiesa venne dotata di un grande coro posto dietro l’altare e di una cupola a pianta lievemente ellittica (1609).
Furono inoltre realizzati una piazza davanti alla chiesa (1623-1633) e un nuovo campanile a opera di Francesco Antonio Picchiatti (1655).
Nel 1750, Giuseppe Astarita rinnovò l’apparato decorativo della chiesa secondo forme rococò, inserendo finestroni e motivi in stucco.
L’Ottocento segnò l’inizio di una nuova fase, quando fu trasferita qui la manifattura tabacchi della città (1809) e si imposero grandi trasformazioni a opera di Stefano Gasse (1836-1839) ed Errico Alvino (1842-1859).
Quest’ultimo progettò il tamponamento delle arcate, la contrazione dello spazio del chiostro, sopraelevazioni e solai intermedi, sostenuti da travi in ferro su mensole sagomate.
Soprattutto, questi ripensò la facciata su via Porta di Massa e i suoi rigiri su piazza Bonghi e vico degli Scoppettieri, rinunciando all’uso dell’ordine architettonico e conferendole un carattere industriale: il piano terra rivestito da bugnato liscio, i livelli superiori divisi da ampie fasce marcapiano e connotati da una serie ininterrotta di finestre con archi di scarico ribassati.
Nella facciata fu aperto un portale quale accesso principale.
Nel 1880 un incendio danneggiò la fabbrica, ma questa fu presto riportata in attività.
Nel frattempo, i lavori del Piano di Risanamento portarono a tracciare corso Umberto I e a liberare la piazza davanti alla chiesa, dando maggiore risalto al complesso in un contesto urbano rinnovato.
Nel 1943, l’edificio fu danneggiato dai bombardamenti e il successivo piano di ricostruzione di via Marittima ne decretò la demolizione: nel 1953, la manifattura fu trasferita nella nuova sede di via Galileo Ferraris e San Pietro Martire restò a lungo abbandonato.
Fu nel 1962 che l’Ateneo federiciano ottenne di destinare qui prima la Facoltà di Giurisprudenza e poi quella di Lettere e Filosofia, nell’ambito di un più ampio processo di decongestionamento delle sue sedi.
Ne seguì un dibattito sulle modalità di conservazione dell’edificio: i lavori, coordinati da Roberto Di Stefano (1977-1983), permisero infine il recupero della forma del chiostro e degli spazi conventuali, la rimozione di gran parte delle aggiunte ottocentesche e la conservazione delle belle strutture portanti in ferro.
San Pietro Martire racchiude dunque ottocento anni di storia e trasformazioni: da spazio recintato per l’uso esclusivo religioso, a luogo della produzione ugualmente chiuso, ma brulicante di attività, a spazio aperto e accessibile votato alla cultura e alla formazione.

Dal volume "Passeggiando per la Federico II" (seconda edizione aggiornata) a cura di Alessandro Castagnaro - fotografie di Roberto Fellicò - FedOAPress