Briciole di pane

Complesso universitario di San Giovanni a Teduccio

di Alessandro Castagnaro

San Giovanni a Teduccio è stato un paese autonomo fino al 1925, quando alcuni comuni della cinta urbana limitrofa alla città furono inseriti amministrativamente nella giurisdizione di Napoli.
Sin dall’Ottocento si è configurato come località balneare per subire, poi, la brusca trasformazione in un polo industriale all’avanguardia.
Infatti, a partire dal 1820, San Giovanni a Teduccio visse un secolo di sviluppo e innovazione; dal 1839, con la realizzazione della tratta Napoli-Portici – la prima ferrovia italiana –, fu aperta la stazione, ancora oggi presente sul corso centrale, utilizzata dai bagnanti alla ricerca di lidi con acque ancora pulite, lungo una fascia costiera e un entroterra ancora segnati dai mulini a vento per la lavorazione del grano.
Dal 1840, con la realizzazione delle officine di Pietrarsa, prese il via anche l’economia legata all’industria che, se da un lato contribuì a offuscare l’immagine amena di luogo di villeggiatura, dall’altro diede un forte impulso occupazionale incrementato, dal 1872, con la nascita dello stabilimento della Corradini, divenuta poi Cirio-Corradini.
Con la chiusura della fabbrica, nella seconda metà del Novecento, e con il completamento della dismissione industriale, l’intera area di San Giovanni a Teduccio è precipitata in uno stato di abbandono territoriale e di degrado ambientale con il conseguente manifestarsi di complesse problematiche sociali, segnate da un forte tasso di disoccupazione e di delinquenza, trasformandosi in poco tempo da cittadella produttiva a periferia degradata.
Qui si va a innestare l’esigenza, nata nell’ambito dell’Ateneo federiciano a partire dalla fine degli anni Novanta del secolo scorso, di decongestionare la sede di Fuorigrotta della Facoltà di Ingegneria, con una nuova sede a est della città, per ospitare anche gli studenti provenienti dalla zona orientale dell’area metropolitana e dalla provincia.
Al contempo l’Ateneo si pone il progetto politico-culturale di contribuire, attraverso un polo universitario, alla riqualificazione urbana di un tessuto periferico dalle molteplici valenze, ormai in condizioni di progressivo decadimento.
Con questi obiettivi viene attivato un protocollo d’intesa, stipulato il 31 marzo 1998 congiuntamente da Ministero dell’Università, Regione Campania, Comune di Napoli e Università degli Studi di Napoli Federico II guidata dal rettore Fulvio Tessitore.
Il Ministero e la Regione si impegnarono nel finanziamento dell’opera, il Comune a predisporre la necessaria variante urbanistica e l’Università nell’acquisto, dal curatore fallimentare, dell’area ex Cirio in via Nicola Protopisani.
Una volta attivato il processo burocratico amministrativo, nel 2002 venne formalizzato l’acquisto dell’intera area e avviata la gara internazionale per la scelta del progettista, vinta dal gruppo costituito dal nipponico Ishimoto Europe, Ishimoto Architectural & Engineering Firm Inc., architetto Francesco Scardaccione e Corbellini srl.
Un progetto, quello sviluppato poi dal rettore Guido Trombetti, con valenze sociali che si esplicavano in una vasta area aperta: una sorta di parco a verde incluso fra i principali assi viari di San Giovanni a Teduccio, il corso Nicola Protopisani e via Nuova Villa e con un ingresso anche da via Pietro Signorini, non circoscritta e fruibile solo dagli addetti ai lavori dell’Università, ma aperta alla cittadinanza.
Un impianto urbano fortemente caratterizzato dalla permeabilità con il costruito storico circostante – all’opposto della vecchia fabbrica Cirio, racchiusa in un compatto recinto – che, con il suo verde circostante, si pone come parte integrante del contesto a scala urbana con un complesso, benché dichiaratamente moderno, in grado di dialogare con le preesistenze.
L’impianto architettonico, di matrice razionalista, è dislocato in più edifici sul bordo del vasto lotto, all’interno della grande area a verde dove i progettisti fondono la cultura italiana della piazza, con quella orientale del giardino giapponese.
Essa è conformata da una serie di piazze suddivise tra quelle d’ingresso, prospicienti le pubbliche vie e quelle interne al campus, tutte caratterizzate dai volumi architettonici circostanti e un’ampia corte a parco che si configura con un’alternanza di filari di alberi di diverse essenze – pini, olivi, platani, limoni – e zone a tappeto erboso o piccole collinette artificiali che individuano differenti aree di sosta.
Le architetture che ospitano le attività universitarie, pur mantenendo altezze costanti di quattro piani ciascuna, hanno volumetrie e trattamenti di facciata differenti: due di essi sono segnati da un basamento in pietra vulcanica, gli altri due hanno pareti – talvolta scandite da imponenti pilotis in acciaio – costituite da ampie vetrate altamente tecnologiche che riflettono il Vesuvio e il paesaggio circostante.
Il progetto complessivo prevede uno sviluppo di duecentomila metricubi per aule, biblioteche, laboratori, studi dipartimentali, un centro congressi per circa milleottocento studenti e duecentocinquanta docenti e un grande piano interrato destinato a parcheggio, un centro per la didattica, con oltre mille posti a sedere in aule, e la vasta aula magna sospesa, attrezzata da sistemi dalle avanzate tecnologie.
A oggi il complesso, seguito da vicino dal rettore Gaetano Manfredi, nella continuità dei suoi predecessori, pure in parziale attività funzionale dal 2015, non è ancora completato in quanto dei tre lotti in cui è stato suddiviso il lavoro solo il primo è terminato, il secondo è in via di esecuzione e il terzo sarà affrontato in seguito.
La parte ultimata, oltre a ospitare già le attività legate alla didattica, con risultati più che soddisfacenti da parte degli utenti, è anche sede della Apple Accademy, un’eccellenza a livello mondiale, sede di gruppi internazionali che richiamano allievi e ricercatori da ogni parte del mondo.
Contestualmente si è provveduto anche allo sviluppo e alla riprogettazione nell’area del sistema dei trasporti su ferro e su gomma e a una nuova stazione ferroviaria per i rapidi collegamenti.
Pertanto, questo più recente polo della Federico II, oltre a essere un complesso dalle molteplici qualità architettoniche, legate anche alle esigenze contemporanee di impatto ambientale, alternate tra costruito e verde, rappresenta anche, come da intenti originari, un campus universitario multietnico e multiculturale, connotato dall’essere un centro di interazione fra didattica, ricerca, Centro Nazionale delle Ricerche e gruppi industriali e imprenditoriali avanzati, portando occasioni di formazione e di lavoro molto significative.
Un polo che sta incidendo fortemente in un processo di riqualificazione urbana anche sulle attività terziarie locali, in un’area che da periferica potrebbe diventare strategica per una significativa riconversione, stimolando la comunità locale a un forte senso di appartenenza, operazione molto apprezzata anche dalla Commissione Europea come buona pratica di utilizzo dei fondi europei.

Dal volume "Passeggiando per la Federico II" (seconda edizione aggiornata) a cura di Alessandro Castagnaro - fotografie di Roberto Fellicò - FedOAPress