Briciole di pane

Complesso universitario di Monte Sant’Angelo

Edificio dei Centri comuni del Complesso di Monte Sant'Angelo

By Andrea Maglio

Alla fine degli anni Sessanta del XX secolo si fa strada l’idea di una delocalizzazione di parte delle strutture universitarie fino ad allora concentrate soprattutto nel centro storico. Il polo universitario di Monte Sant’Angelo nasce quindi su un’area – più ristretta di quanto inizialmente previsto – ai margini del quartiere di Fuorigrotta, accostandosi idealmente al presidio già esistente della Facoltà di Ingegneria. Ai progettisti Michele Capobianco e Massimo Pica Ciamarra sono affiancati gli strutturisti Elio Giangreco e Renato Sparacio, gli ingegneri impiantisti Raffaele Vanoli e Vittorio Betta e il geotecnico Arrigo Croce, tutti docenti dell’Ateneo napoletano. Si tratta di un campus concepito alla maniera anglosassone e, quindi, del tutto differente dalla cittadella universitaria del centro, che occupava per lo più spazi preesistenti e riadattati; tuttavia, il modello è aggiornato rispetto a quelli stranieri nel tentativo di evitare una dispersione degli edifici all’interno dello schema generale e di valorizzare invece gli spazi per la socialità. Tale scopo è raggiunto assumendo il sistema dei percorsi quale matrice generativa della composizione e rifacendosi a una tradizione “urbana” consolidata, espressa mediante facciate “autonome” in relazione con gli assi e persino una piazza. In tal modo, il modello corbusiano, con edifici isolati e a distanza, è abbandonato in favore di un sistema di relazioni capace di legare i diversi blocchi e predisporre il complesso alla vita universitaria. Il sistema dei percorsi previsto era infatti ben più articolato di quello effettivamente realizzato e si basava, tra l’altro, su un collegamento pedonale con il complesso di via Claudio, costruito per la Facoltà di Ingegneria. Il sito su cui sorge il nuovo campus presenta un deciso dislivello, che facilita l’individuazione di blocchi distinti tra loro seppure inseriti in una logica generale omogenea. Michele Capobianco, insieme a Daniele Zagaria, progetta la parte inferiore, composta dall’edificio dei centri comuni, dal primo aulario e dalla Facoltà di Economia e Commercio, oggi corrispondente ai dipartimenti di Scienze economiche e statistiche e di Economia, management, istituzioni; Massimo Pica Ciamarra progetta invece la parte superiore del complesso, composta dal secondo aulario, dalle strutture sportive – poi non realizzate – e dalla Facoltà di Scienze matematiche, fisiche e naturali, poi ripartita tra i dipartimenti di Biologia, di Fisica, di Matematica e applicazioni “Renato Caccioppoli”, di Scienze chimiche e di Scienze della terra, dell’ambiente e delle risorse. Essendo il più prossimo all’ingresso da via Cintia, il blocco dei centri comuni rappresenta quello di maggiore evidenza e definisce in maniera prevalente l’immagine del complesso. Il progetto originario prevedeva una facciata “doppia”, articolata mediante una griglia esterna, rivestita di piante rampicanti, che non è mai stato realizzato (Mangone 2004, 501). Tale elemento, memore dell’opera di Giuseppe Terragni e in linea con gli studi sulle facciate “sovrapposte” di Peter Eisenman, avrebbe mediato il rapporto tra interno ed esterno, definendo in maniera originale il vero prospetto principale dell’intero campus. Realizzato solo nel 1998, il blocco mostra comunque la derivazione dalla cultura architettonica europea del secondo dopoguerra, specialmente da quella scandinava, che Capobianco aveva conosciuto da neolaureato grazie a un periodo di lavoro a Stoccolma. La galleria interna rimanda invece al concetto corbusiano di promenade architecturale e dimostra come anche all’interno i percorsi divengano la spina dorsale del meccanismo progettuale: collegati da rampe, i diversi camminamenti della lunga galleria si trovano a quote differenti e permettono una completa interrelazione tra gli spazi (Dardi 1982); contraddistinti da superfici in cemento a colori vivaci, avrebbero dovuto essere anche luoghi di sosta e di socialità. Il blocco successivo è quello delle aule, formate da prismi geometrici e con una originale rotazione dei parallelepipedi sulle facciate, mentre le aule “a quadrifoglio” di Pica Ciamarra, sulla parte superiore del complesso, presentano uno schema flessibile per essere accorpate in caso di eventi con maggiore flusso di pubblico. Dietro il primo aulario si arriva all’edificio dell’ex Facoltà di Economia, un blocco più basso e articolato su corti e dove gli ambienti per gli studi dei docenti prevalgono rispetto ad ampi spazi di socialità. Il progetto dell’ex Facoltà di Scienze elaborato da Pica Ciamarra presenta edifici disposti parallelamente a quelli più a valle, ma con una logica affatto differente: la quota del terreno varia notevolmente e aumenta verso nord, in modo da variare, con coperture a quota costante, l’altezza degli edifici; inoltre, lo schema, a differenza dei blocchi a valle, presenta un elemento di collegamento trasversale, come avveniva nel progetto aaltiano per il Politecnico di Otaniemi, presso Helsinki, e un sistema di collegamenti verticali a integrazione dei percorsi orizzontali. Infine, come nel progetto dell’Università della Calabria, il toit-terrasse lecorbusiano è percorribile e arricchito da volumi geometrici quasi metafisici. A differenza degli edifici di Capobianco, quelli disegnati da Pica Ciamarra sono in béton brut privo di colore, come nella più ortodossa tradizione del Brutalism postbellico. Concepito come un moderno complesso universitario capace di assorbire e rinnovare la tradizione internazionale, ma realizzato senza alcuni importanti elementi progettuali previsti, il polo di Monte Sant’Angelo definisce un modello di grande interesse per l’originalità del sistema planimetrico, per la capacità di adattamento al luogo e per la qualità degli spazi. La stazione della nuova linea della metropolitana risolverà anche il problema dei collegamenti e dei trasporti pubblici carenti, stemperando l’isolamento di quella che, anche a causa degli edifici sorti intorno al lotto durante le fasi progettuale e costruttiva, si è configurata come un’enclave chiusa al contesto.

Dal volume "Passeggiando per la Federico II" (seconda edizione aggiornata) a cura di Alessandro Castagnaro - fotografie di Roberto Fellicò - FedOAPress