Briciole di pane

Complesso Scampia

Complesso Scampia

di Alessandro Castagnaro

Il quartiere Scampia, nella periferia nord della città di Napoli, a partire dagli anni Novanta del secolo scorso ha assunto una notevole notorietà a livello nazionale e, in taluni casi, anche internazionale perché in quel sito, tra il 1962 e il 1975, furono realizzate le “famigerate” Vele che prendono il nome dalla loro morfologia. Un vasto complesso residenziale promosso dalla legge 167 del 1962 e progettato dall’architetto Franz Di Salvo ritenuto, dalla critica e dalla storiografia contemporanea, uno dei più innovatori nel panorama partenopeo nell’arco temporale tra l’immediato secondo dopo guerra e il 1977, data della sua prematura scomparsa. Originariamente composto da 7 edifici su un'area di 115 ettari, è stato frutto di una sperimentazione architettonica di qualità, seppur con qualche errore progettuale e soprattutto esecutivo, in seguito penalizzata ancor più da condizionamenti politici e sociali - molti dei quali legati alla crisi degli alloggi conseguente al terremoto dell’80 - e dall’assenza di infrastrutture. In breve tempo Scampia e le Vele divennero scenario privilegiato per filmografia e letteratura che trattavano di delinquenza, degrado sociale ed ambientale marcando negativamente, e talvolta ingiustificatamente, l’intero quartiere sigillandone un destino che già si profilava. La prima delle Vele fu demolita nel 1997 e successivamente altre fino al 2020.

Proprio nel sito della prima Vela demolita ora sorge il complesso progettato dallo studio del noto architetto novarese Vittorio Gregotti (1927 – 2020), tra i più affermati nel panorama internazionale del tempo, allievo di E.N. Rogers noto per la sua ricerca di un possibile dialogo tra geografia e segno architettonico nel recupero di valenze formali e tecniche di tradizioni precedenti il Movimento Moderno. Fondatore nel 1974 dello studio Gregotti associati international, nel 2012 è stato insignito della medaglia d'oro alla carriera della Triennale di Milano e nel 2020 gli è stato attribuito il Leone d'Oro Speciale.

La tempistica gioca un ruolo fondamentale nella lettura, ad oggi, del progetto commissionato dal Governo agli inizi del terzo millennio all’architetto Gregotti per ospitare la sede della Protezione civile, gli uffici del Comune, della prefettura e laboratori dell'Osservatorio Vesuviano. Insomma un presidio governativo a tutela del territorio.

Nel maggio del 2003 il progetto fu consegnato dall’architetto novarese al Sindaco di Napoli del tempo, Rosa Russo Iervolino, che avrebbe dovuto procedere ad una gara per l’appalto delle opere che in due anni sarebbero dovute terminare. La sua dichiarazione d’intenti alla stampa locale recitava «È un importante segnale per la città e gli abitanti di Scampìa, che non sarà più considerato un ghetto, [… .. ] l'amministrazione presenta il progetto definitivo di una struttura che servirà a rigenerare il quartiere e a qualificarlo». Il complesso dopo un lungo, articolato e farraginoso iter burocratico viene affidato all’università Federico II e viene inaugurato il 17 ottobre 2022.

Le motivazioni della nuova destinazione d’uso erano a giusta ragione, mirate ad una significativa rigenerazione urbana per la quale non sono necessari presidi a carattere militareschi bensì luoghi per la cultura, aperti al territorio. È necessario ribadire che esso fu realizzato per altra destinazione d’uso e altra committenza e, pertanto, nonostante le indubbie qualità dell’opera, si riscontra chiaramente un vulnus. Gregotti progetta un’opera introversa, una sorta di torre panottica, ispirata ai modelli degli antichi tolos, oggi ancora presenti nelle civiltà micenee, che si raffigurano come una costruzione a pianta circolare, tronco-conica, costituita da anelli di blocchi di pietra aggettanti e formanti una pseudocupola. Infatti il suo impianto è caratterizzato da una struttura circolare chiusa, turrita, priva di grandi aperture verso l’esterno; un volume che si sviluppa su 7 livelli, compreso un piano interrato, rivestiti con un trattamento a mattoni e con finestrature ad asola con rigidi allineamenti e con coronamento e basamento segnati da piccole aperture quadrate, secondo l’impostazione progettuale caratteristica dell’autore.

Se l’esterno, seppure corredato da parcheggi e spazi all’aperto, appare una struttura chiusa al territorio, di segno opposto è l’interno contrassegnato da una massima luminosità, conferita da un grande vuoto centrale con una copertura trasparente sorretta da strutture in acciaio a vista high tech che, a sua volta, ha un’apertura a cielo aperto con un simbolico albero di olivo. Tutti gli ambienti hanno un doppio affaccio, verso la corte centrale e verso l’esterno, si registra un’ampia aula magna da oltre 500 posti al piano interrato anch’essa caratterizzata da una superficie semicircolare, 33 aule per accogliere a regime 2.660 studenti.

Ebbene, nonostante oggi gli studi più avanzati, legati anche alle neuroscienze, prevedano i luoghi dello studio e della ricerca con morfologie aperte al territorio, con spazi a carattere democratico, specie se la comunità sociale su cui essi vanno ad impiantarsi e ad impattare è stata vittima per anni di deprivazioni ed omissioni di vario genere, qui l’architetto progettista ha invece adottato uno schema opposto. Nonostante ciò, grazie alla forza e alla valenza di un antico ateneo e la volontà di riscatto sociale attraverso la cultura, la didattica per la formazione delle giovani generazioni, la ricerca e la “terza missione”, questa nuova sede ha già lanciato forti segnali contribuendo al processo di rigenerazione tanto agognato.

Dal volume "Passeggiando per la Federico II" (seconda edizione aggiornata) a cura di Alessandro Castagnaro - fotografie di Roberto Fellicò - FedOAPress