Complesso del Salvatore
Complesso del Salvatore
di Salvatore Di Liello
Quando nell’inverno del 1765 l’astronomo e viaggiatore Lalande mostrava meraviglia per aver notato un nuovissimo telescopio di fattura londinese nella biblioteca del Collegio Massimo dei Gesuiti di Napoli, il complesso religioso vantava già una lunga storia.
A volerne tratteggiare i momenti essenziali, occorre risalire all’alto medioevo quando sulla collina di Monterone, nell’estremità meridionale dell’antica Neapolis, erano sorte alcune diaconie di rito basiliano e latino.
Tra le chiese antiche sull’altura dominante il mare, inserita nella iunctura civitatis medievale e sede di un palazzo ducale documentato anche in età normanna, figurava anche quella dedicata ai santi Giovanni e Paolo, demolita dai Gesuiti solo molti secoli dopo.
Giunti a Napoli nel 1551 e accolti inizialmente in una casa di via dei Giganti, i padri, nel 1554, occuparono il quattrocentesco palazzo di Giantommaso Carafa acquistato dalla Compagnia insieme agli edifici vicini lungo l’antico cardine corrispondente all’attuale via Paladino.
Ottenuta la proprietà dei suoli, nel 1557 i Gesuiti iniziavano la costruzione della Casa Professa, del Collegio e di una chiesa, nell’intento di conferire centralità alla sede dell’ordine religioso chiamato a contrastare la diffusione del luteranesimo nella capitale del vicereame spagnolo.
Come attesta un’ampia storiografia, la storia del Collegio Massimo dei Gesuiti muove dall’ampliamento delle preesistenti fabbriche diretto da Polidorio Cafaro al quale, in seguito alla morte di questi, nel 1558 subentrò l’architetto gesuita Giovanni Tristano.
Il celebre consiliarus aedificiorum della Compagnia (1558-1575) fornì il progetto della chiesa, completata nel 1566 sotto la direzione del capomastro Domenico Verdina incaricato di eseguire il disegno di Tristano, tornato a Roma nel 1560.
Dal 1568, a dirigere il cantiere del Collegio fu un altro architetto gesuita, Giovanni de Rosis, che, allievo del consiliarus, rielaborò il precedente progetto adeguandolo all’acquisizione di altre preesistenze, senza riuscire tuttavia a completare l’opera, perché chiamato a Roma per subentrare al suo defunto maestro nei lavori del Collegio Romano.
Fin qui, i primi lavori rallentati dai necessari acquisti degli edifici, tra cui l’antica chiesa dei Santi Giovanni e Paolo, al cui posto era stata costruita l’aula progettata da Tristano secondo le indicazioni della Controriforma.
Pochi anni dopo, con l’arrivo a Napoli di Giuseppe Valeriano nel 1582, maturava la decisione di separare dal complesso la Casa Professa trasferita nel monumentale palazzo Sanseverino, nel cuore della città.
Il Collegio, invece, sarebbe stato ampliato in nuovo grande edificio che avrebbe inglobato il vicino complesso di Santa Maria Donnaromita, conquistando in tal modo lo sbocco sulla centralissima Strada di Nilo o di Nido, l’antico decumano inferiore.
Per quanto Roberta Carafa duchessa di Maddaloni avesse promesso cospicue donazioni per la realizzazione dell’opera, l’opposizione delle religiose di Donnaromita costrinse a rimodulare l’ambizioso progetto orientando l’espansione nel settore meridionale, dove furono acquistati altri edifici.
Dopo nuovi ritardi, nel primo decennio del Seicento, i lavori ripresero con la costruzione della nuova chiesa su progetto di Pietro Provedi, sostituito alla sua morte nel 1623 da Agazio Stoia.
Sul fianco della chiesa ad aula conclusa nel 1624 fu sistemato il cortile del Collegio, il cui rigore classicista richiamava il Collegio Romano e più in generale le matrici toscane introdotte a Roma da Antonio da Sangallo il Giovane.
Sarà poi Cosimo Fanzago, attivo nel complesso tra il 1630 e il 1654, a compiere l’ammodernamento barocco della fabbrica con limitati interventi nel cortile e più rilevanti aggiunte nella chiesa arricchita dalle due macchine barocche delle cappelle di San Francesco Saverio e di Sant’Ignazio, scenicamente inserite nelle estremità del transetto, dove l’artista pose le straordinarie statue di Isaia e di Geremia emergenti dalle nicchie nelle pareti.
Ai segni fanzaghiani si affiancarono, dal 1680, le opere di Dionisio Lazzari, autore del refettorio, della biblioteca, della farmacia e, soprattutto, del cosiddetto “giardino bislungo”.
Il confronto tra un disegno settecentesco, la veduta urbana del Baratta (1629) e la mappa del duca di Noja (1750-1775) evidenzia le trasformazioni del complesso con l’aggiunta del corpo della clausura, del nuovo cortile con “il giardino d’agrumi” al centro e delle rampe che raggiungevano la sottostante strada del Sedile di Porto.
Con la prammatica sanzione del 3 novembre 1767 iniziava la storia laica del Collegio: espulsi i Gesuiti in seguito a quel provvedimento, il complesso, da allora denominato Casa del Salvatore, fu occupato prima dalle scuole regie, sistemate tra il 1768 e il 1770 su progetto di Ferdinando Fuga, e poi, dal 1777, a Università, in seguito al trasferimento dell’originario Studio dal palazzo destinato da Ferdinando IV a ospitare la collezione Farnese.
Nuovi interventi interessarono il complesso agli inizi dell’Ottocento, periodo in cui fu realizzato il Museo Mineralogico (1801), sistemato nell’antica Biblioteca dei Gesuiti sede nel 1845 del VII Congresso degli Scienziati italiani, la Biblioteca Universitaria (1808), quindi il Museo di Zoologia (1836-1837), che determinò lo sterro del settecentesco “giardino d’agrumi” e la formazione dell’attuale cortile meridionale.
A queste opere seguirono quelle del risanamento, nel cui ambito gli ingegneri Guglielmo Melisurgo e Pier Paolo Quaglia, tra il 1893 e il 1896, ampliarono il complesso del Salvatore aggiungendo altri corpi di fabbrica e aprendo il nuovo accesso sull’ampliata via Mezzocannone dove, al civico numero 8, tra il 1926 e il 1929, fu ricomposto il portale del quattrocentesco palazzo di Fabrizio Colonna, inserito in una nuova facciata di gusto tardogotico.
Nuovi lavori furono eseguiti in seguito ai danni bellici e, più tardi, al sisma del 1980, che determinò la chiusura al pubblico del Museo Mineralogico riaperto nel 1994 dopo un lungo restauro.
Da allora, le monumentali sale fanno parte del complesso del Museo delle Scienze Naturali dell’Ateneo federiciano, in cui sono confluiti anche i musei di Zoologia, Antropologia e Paleontologia.
Dal volume "Passeggiando per la Federico II" (seconda edizione aggiornata) a cura di Alessandro Castagnaro - fotografie di Roberto Fellicò - FedOAPress