Briciole di pane

Complesso di Sant’Antoniello a Port’Alba

di Paola Vitolo

La Biblioteca di Ricerca di Area Umanistica (Brau) dell’Ateneo federiciano è ospitata nei locali del monastero francescano di Sant’Antoniello (Sant’Antonio di Padova) a Port’Alba, concesso nel 1987 dal Comune di Napoli in comodato gratuito all’Università degli Studi di Napoli, che ha provveduto al restauro e all’adattamento delle strutture con lavori condotti tra il 2000 e il 2004.
La fondazione di Sant’Antoniello, nel 1553, si deve a Paola Cappellano, religiosa del monastero del Gesù presso Porta San Gennaro.
Lo scenografico scalone settecentesco a doppia rampa, che fa da quinta a uno dei lati dell’antistante piazza Bellini, valorizza un complesso di poco pregio sul piano architettonico, ma di grande interesse storico, in quanto testimone della ricca stratificazione urbanistica dell’area.
Posta nell’angolo nord-occidentale delle mura antiche, di cui si vedono dei resti nella piazza e all’interno dello stesso monastero, e delimitata a nord dal vallone in cui si colloca oggi piazza Cavour, l’altura su cui sorse Sant’Antoniello ha un’antica vocazione monastica, che si consolidò tra il Cinque e il Seicento.
A partire dal Quattrocento, la tranquillità dell’area e la disponibilità di suoli avevano incoraggiato anche la costruzione di grandiosi palazzi nobiliari, tra cui quelli di Onorato Caetani, conte di Fondi e duca di Traetto, e di Scipione Pandone, conte di Venafro e duca di Boiano, che sarebbero stati acquistati nel Cinquecento da Ferdinando Alarcón, capitano dell’esercito spagnolo.
La destinazione alto-residenziale del quartiere si rafforzò progressivamente nel corso del Cinquecento, quando una compatta successione di palazzi sorse lungo la direttrice segnata dalle mura volute da don Pedro di Toledo (l’attuale via Costantinopoli), sulle quali sarebbero state aperte nel 1622 Port’Alba e l’omonima via, e una serie di interventi avrebbe valorizzato la zona: la creazione di una rete viaria collegata a quella urbana e la sistemazione del piano di calpestio dell’attuale piazza Bellini, caratterizzato da salti di quota e condizionato dalle preesistenze antiche.
La prima casa di Sant’Antoniello era piuttosto modesta, stretta tra le proprietà dei conventi vicini e quelle degli Alarcón.
Queste ultime furono progressivamente acquisite dalle monache, che poterono così ingrandire la propria sede: l’ex Palazzo Caetani (identificabile con il nucleo edilizio sul quale sorge oggi la Brau) nel 1553, e l’ex Palazzo Pandone (che era intanto passato dagli Alarcón ai Di Capua, principi di Conca), adiacente a quello Caetani e prospiciente l’attuale piazza Bellini, nel 1637.
L’articolazione dello spazio interno del primo edificio, che ancora conserva in vari punti tracce della struttura originaria (cornici di finestre in tufo lavorate, poste sulle facciate verso Palazzo Conca e verso il monastero della Sapienza, e sulla parete interna sul lato di via Costantinopoli), avvenne attorno a un chiostro di forma trapezoidale costruito con pilastri in tufo e basi di piperno, materiali in parte provenienti da una struttura porticata del precedente palazzo.
Su di esso si affacciavano le celle, i locali collettivi e la chiesa.
Quest’ultima, della quale non si conoscono i progettisti, ma che risulta sia stata consacrata nel 1579, fu ricostruita dopo i terremoti del 1688 e del 1694 dall’architetto Arcangelo Guglielmelli, ma i successivi interventi, tra cui la costruzione del coro al di sopra dell’atrio di ingresso e della nuova sacrestia, rendono difficile giudicare la sua opera.
L’aula unica, priva di transetto, non presenta cappelle laterali, ma le arcate ricavate nello spessore murario ospitano altari realizzati con lastre marmoree a intarsi.
L’altare maggiore, confezionato con la medesima tecnica, è opera di Giovan Battista Nauclerio e si data al 1723.
Il coro quadrato è sormontato da una cupola che poggia su profondi archi e tutto l’interno si presenta rivestito di stucchi bianchi, che evidenziano l’articolazione della struttura architettonica.
Il cassettonato ligneo del soffitto è stato sostituito nell’Ottocento.
I lavori di adattamento del Palazzo Pandone-Conca alle esigenze della clausura iniziarono invece nel 1645, ma i terremoti segnarono continue battute di arresto e resero necessari interventi sulle fabbriche precedenti.
Si procedette intanto anche a collegare organicamente i due nuclei del monastero attraverso la chiusura del vicolo che originariamente li separava e la creazione di una scala pensile (successivamente murata), un esempio delle logge con cui nella città vicereale si creavano collegamenti aerei sulle strade.
La facciata del palazzo, oggi adibito a private abitazioni, conserva traccia della sua lunga storia e dei progressivi adattamenti a diverse funzioni nella varietà delle dimensioni delle aperture e delle cornici, e rivela nel basamento, in grossi blocchi quadrati lisci di piperno, il livello originario della quota della piazza che si trovava tre metri sopra quello attuale.

Dal volume "Passeggiando per la Federico II" (seconda edizione aggiornata) a cura di Alessandro Castagnaro - fotografie di Roberto Fellicò - FedOAPress