Complesso di Santa Maria degli Angeli alle Croci
Complesso di Santa Maria degli Angeli alle Croci
di Salvatore Di Liello
Dal 1935, il Dipartimento di Medicina Veterinaria dell’Università degli Studi di Napoli ha sede nel cinquecentesco convento francescano di Santa Maria degli Angeli alle Croci, così denominato per le croci che, in ricordo delle tappe del Calvario, punteggiavano la salita proveniente dall’odierna via Foria.
La posizione suburbana del complesso religioso, periferica rispetto alla città storica e, tuttavia, vicina alla grande strada di Foria di formazione ottocentesca, suggerì la decisione di Gioacchino Murat di assegnare, con suo decreto, il complesso al Ministero dell’Interno affinché lo destinasse a Scuola Veterinaria.
Essa si poneva in continuità con quella già istituita da Ferdinando IV nel 1795, che aveva destinato il Serraglio vicino alla caserma di Cavalleria al ponte della Maddalena a infermeria per il ricovero dei cavalli ammalati dei Reggimenti Reali, aperta inizialmente ai soli militari di carriera, e dal 1802 anche ai civili.
Fonti cinquecentesche, come in particolare la Cronaca del gesuita Giovan Francesco Araldo scritta tra il 1552 e il 1596, documentano l’inizio dei lavori della chiesa e del convento di Santa Maria degli Angeli il 16 marzo 1581 «sotto la massaria Miradois» e descritta come «un bellissimo luogo, et delli più belli che i zoccolanti habbiano in Napoli».
Del resto, l’amenità della sua posizione si può osservare nella veduta di Alessandro Baratta del 1629 – dove si riconosce la facciata della chiesa scandita da tre arcate e conclusa da un timpano – ed è confermata anche dalle descrizioni di Celano del 1692, che descrive il complesso come «un’allegrissima chiesa» dalla «vaghissima forma».
Le pagine di Celano riportano dettagliatamente le vicende legate all’ammodernamento barocco della chiesa, promosso dal potente fra’ Giovanni da Napoli, nominato provinciale dell’ordine dei Francescani Osservanti da papa Urbano VIII, nonché attento regista di un vasto programma di lavori finalizzato a impreziosire la nuova veste della chiesa, arricchita di elementi e opere d’arte provenienti da altre fabbriche conventuali.
L’ambizioso progetto prevedeva inoltre di collegare il complesso conventuale alla costa, attraverso la creazione ad hoc di un’ampia strada che avrebbe raggiunto il mare, incidendo sul tessuto del cinquecentesco borgo Sant’Antonio Abate, rendendo in tal modo visibile la sua chiesa dai principali punti di osservazione della città.
Cosimo Fanzago e Belisario Corenzio furono gli artisti coinvolti nella ristrutturazione seicentesca del complesso: al primo si deve il profondo atrio reggente il coro, poi alterato in facciata con la chiusura dei vani laterali nel corso dell’Ottocento, e la raffinata decorazione interna della chiesa, attenta, nella scelta dell’austero registro cromatico dei marmi bianchi e grigi, a contemperare la qualità artistica con la regola di rigore e povertà degli Osservanti.
Più vivaci colori caratterizzano invece gli affreschi eseguiti da Corenzio e dalla sua bottega nelle arcate del chiostro, che raffigurano scene mariane e stemmi delle famiglie napoletane coinvolte nelle opere di rinnovamento del complesso.
Dal volume "Passeggiando per la Federico II" (seconda edizione aggiornata) a cura di Alessandro Castagnaro - fotografie di Roberto Fellicò - FedOAPress