Briciole di pane

Chiesa di Santa Maria Donnaregina vecchia

Chiesa di Santa Maria Donnaregina vecchia

di Paola Vitolo

La chiesa di Santa Maria Donnaregina vecchia, sede della Scuola di Specializzazione in Beni Architettonici e del Paesaggio dell’Università degli Studi di Napoli Federico II, sorge poco discosta dalla cattedrale, presso le mura settentrionali della città medievale.
L’edificio faceva parte di un complesso religioso abitato in età altomedievale da monache italo-greche, passato poi alla regola benedettina e, infine, a quella francescana nel 1264.
Nel Seicento si rese necessario dotare la comunità di una chiesa più grande (Santa Maria Donnaregina nuova, oggi sede del Museo Diocesano) che fu costruita in asse con quella antica, ma con opposto orientamento.
La chiesa altomedievale, che era stata danneggiata dal terremoto del 1293, fu ricostruita pochi anni dopo con il patrocinio di Maria d’Ungheria, moglie di Carlo I d’Angiò; si pensa che i lavori fossero già ultimati nel corso del secondo decennio del Trecento.
Entro i primi anni Venti si dovettero concludere anche le campagne di decorazione ad affresco.
L’edificio è un importante esempio di architettura monastica femminile, uno dei rarissimi casi di chiese costruite ex novo per suore di clausura, alle quali erano generalmente destinate fabbriche preesistenti, riadattate.
La pianta, singolare nel panorama locale e probabilmente ispirata a modelli centro ed est europei familiari alla regina, presenta una navata unica sulla quale si aprono alte finestre, con il coro delle monache soprelevato, retto da otto pilastri, che si estende quasi sui due terzi dello spazio.
La rapida crescita della comunità di clarisse comportò già in corso d’opera l’allungamento della struttura di una campata, con la conseguente tamponatura di due finestre.
L’abside poligonale, illuminata da finestre a triforio, è introdotta da un arcone sulla cui sommità era un tempo probabilmente affrescato un Cristo in gloria (come fanno immaginare le schiere di angeli dipinte sulle pareti) e la cui volta, decorata con gli stemmi d’Angiò e d’Ungheria, offriva una cornice solenne alla tomba della regina (morta nel 1323), un capolavoro dello scultore senese Tino di Camaino che celebrò la memoria della defunta nella sua dimensione privata (Maria vi è raffigurata sul letto di morte e in preghiera per la salvezza della sua anima) e pubblica (attraverso la rappresentazione della sua numerosa discendenza scolpita sulla cassa), meravigliosamente sintetizzate nella scelta delle virtù cariatidi poste a sostegno della struttura.
Il monumento funebre che si ammira oggi, dopo numerosi spostamenti, nello spazio antistante il presbiterio, fu probabilmente concepito per ergersi dietro l’altare.
Da quella posizione esso dialogava con l’intero spazio figurato della chiesa, le cui pareti furono dipinte da una composita équipe sotto la guida del pittore romano Pietro Cavallini e secondo una regia accorta nella progettazione dell’insieme ben riconoscibile, nonostante il cattivo stato di conservazione degli affreschi.
Sulle pareti della navata a ridosso del presbiterio, visibili al pubblico dei laici, si vedono grandi figure di santi e coppie di personaggi dell’Antico e del Nuovo Testamento affiancati a palme.
Sulle pareti del coro, le scene offrivano alle monache materia di meditazione, illustrando gli episodi della Passione di Cristo e della vita di tre sante (Agnese, Caterina d’Alessandria ed Elisabetta d’Ungheria) che per la loro origine aristocratica e le loro virtù erano offerte come modelli di vita e di santità alle clarisse, provenienti a loro volta da famiglie nobili napoletane, e al tempo stesso richiamavano culti cari alla regina e alla dinastia angioina.
I tituli che accompagnavano ciascun riquadro, tratti dalle Meditationes vitae Christi e da testi agiografici, favorivano il riconoscimento delle scene e offrivano supporto nella preghiera.
La controfacciata, verso cui era rivolta la tomba di Maria d’Ungheria, era affrescata con una vasta scena del Giudizio finale, al di sopra del quale, nascosta oggi da un soffitto cassettonato moderno, si è conservata una Madonna dell’Apocalisse, a evocare il titolo della chiesa e in omaggio alla regina.
Sul lato ovest della navata si apre infine la cappella Loffredo, coeva alla fase trecentesca della chiesa, anch’essa affrescata, il cui ingresso è sormontato da un raro ciclo dell’Apocalisse.

Dal volume "Passeggiando per la Federico II" (seconda edizione aggiornata) a cura di Alessandro Castagnaro - fotografie di Roberto Fellicò - FedOAPress