Briciole di pane

Complesso dello Spirito Santo

Complesso dello Spirito Santo

di Andrea Maglio

L’attuale stato del complesso dello Spirito Santo presenta un’evidente dualità dovuta alla compresenza delle antiche strutture connesse all’omonima chiesa e di quelle più recenti, realizzate alla metà del Novecento.
Peraltro, anche le nuove fabbriche comprendono ancora elementi monumentali dell’edificio scomparso, quali memorie e testimonianze della ricca e lunga storia del sito.
L’origine dell’intero complesso è legata alla Confraternita dello Spirito Santo, creata nel XVI secolo, a cui si deve la fondazione della chiesa, mentre da altre due confraternite, dette dei Bianchi e dei Verdi per il colore delle vesti, dipendevano due conservatori, rispettivamente per le fanciulle povere e per le figlie delle prostitute (De Fusco 2002).
In seguito, sempre nel Cinquecento, fu istituito il Banco dello Spirito Santo, sulla scia di diverse analoghe istituzioni già presenti in città: si trattava di strutture di natura caritatevole – di cui il Monte dei Pegni resta la più nota – che si trasformarono gradualmente in embrionali istituti bancari.
I vari banchi napoletani accumularono ingenti risorse, talvolta utilizzate dai regnanti per finanziare guerre o opere pubbliche.
Dopo una serie di vicende, a seguito dell’unità d’Italia, il Banco dello Spirito Santo venne fuso insieme ad altri istituti per costituire il Banco di Napoli, che occupò quindi il complesso dello Spirito Santo e, in particolare, quelli del primo cortile entrando da via Toledo, prima di acquistare dal conservatorio anche quelli nel secondo cortile.
Tali strutture sono quelle oggi occupate dal Dipartimento di Architettura in seguito al trasferimento di aule, studi e uffici dalla storica sede di Palazzo Gravina, insufficiente da sola a fornire quanto necessario allo svolgimento delle diverse attività.
Agli anni Sessanta del XX secolo risale il radicale progetto di ristrutturazione della sede del Banco, affidata all’architetto Marcello Canino, già preside della Facoltà di Architettura tra il 1943 e il 1952.
Professionista talvolta discusso, per le sue scelte progettuali non meno che per quelle politiche, Canino era stato il coordinatore del complesso fieristico della Mostra d’Oltremare e un protagonista dell’architettura napoletana sin dagli anni del ventennio fascista.
Nel caso dell’incarico per l’insula dello Spirito Santo, si trattò in realtà di una vera e propria riedificazione seguita all’abbattimento della sede del Banco di Napoli, ritenuta vetusta, nonostante l’importanza storica dell’intero complesso.
Tra il 1966 e il 1968 fu quindi realizzato il blocco intorno al primo cortile e tra il 1969 e il 1972 quello relativo al secondo cortile.
La necessità di massimizzare l’uso degli spazi interni senza poter eccedere nell’altezza dell’edificio determinò la curiosa decisione di ricavare sei piani nei corpi prospicienti i cortili – e sette in quello lungo via Pignatelli – mantenendone invece cinque nel corpo su via Toledo, che doveva rimanere coerente con la sequenza della cortina sulla strada (De Fusco 2004, 257).
A tal fine fu mantenuto il portale monumentale, attraverso cui lo sguardo spazia fino a posarsi sull’edicola con l’orologio – definita da Canino “bizzarra e gustosa” – che chiude la prima corte.
Il progetto iniziale di Canino era di fatto alquanto differente da quanto poi realizzato e prevedeva in realtà facciate più articolate, grazie a lesene fortemente sporgenti in grado di armonizzare i prospetti su strada con quelli circostanti, attutendo l’impatto dell’aumento di volumetrie interne.
Per i prospetti del secondo cortile erano stati previsti rivestimenti in mattoni, poi non realizzati e uniformati a quelli intonacati del primo cortile, che doveva assumere un tono minore per focalizzare l’attenzione proprio sul fronte con l’orologio (Carughi 2005).
L’arretramento dei fronti su via Forno vecchio e via Pignatelli da un lato segna il tentativo di distinguere il nuovo dall’antico e dall’altro aumenta luce e aria lungo le strettissime strade, illuminando meglio anche gli ambienti interni, seppur causando un nodo problematico nell’attacco con il fronte su via Toledo.
Uno dei punti più critici del progetto riguardò proprio il rifacimento della facciata su via Toledo, attuato mediante una regolarizzazione delle aperture e dei relativi balconi, mantenendo dell’edificio precedente solo il portale e ricreando come memoria di quello antico un nuovo bugnato nella fascia basamentale.
La distruzione di antiche strutture, come ad esempio quelle del giardino e del chiostro nel secondo cortile, va inquadrata all’interno del dibattito sugli interventi nei centri storici negli anni del boom economico, della ricostruzione, ma anche dell’abusivismo.
Nei confronti delle preesistenze, anche da parte degli enti preposti alla tutela, spesso si affermò un criterio selettivo con cui furono avallate scelte talvolta discutibili.
L’edificio di Canino mostra ancora oggi quell’esigenza di “pulizia” e di “autentica” modernità, raggiunte attraverso un’architettura sobria e volutamente anodina.

Dal volume "Passeggiando per la Federico II" (seconda edizione aggiornata) a cura di Alessandro Castagnaro - fotografie di Roberto Fellicò - FedOAPress