Palazzo Latilla
Palazzo Latilla
di Francesca Capano
Il Palazzo Latilla oggi ospita aule-laboratorio, spazi per la didattica, il centro MAED del Dipartimento di Architettura e i centri interdipartimentali CITTAM e Urban/Eco.
L’edificio settecentesco è di grande interesse storico e architettonico, motivo per cui fu destinato nel 1984 alla Facoltà di Architettura.
L’area su cui insiste il nostro palazzo rientrò nei territori intra-moenia in seguito all’addizione urbana di don Pedro de Toledo.
Alla metà del Cinquecento la regione era inedificata e caratterizzata da orti e giardini, come registra la veduta Dupérac-Lafréry (1566).
Il lotto ampio, irregolare con poche costruzioni è limitato da via Toledo, dal prolungamento del Decumano Inferior, da una stradina, il cui andamento è riconducibile all’attuale via Pellegrini, e dalle mura nord-occidentali che seguono il baluardo dello Spirito Santo.
Nella veduta di Alessandro Baratta (1627, 1629, 1670, 1679) il vicino complesso dello Spirito Santo ha assunto una configurazione simile all’attuale.
I Pignatelli di Monteleone trasformarono l’area, fondarono l’Arciconfraternita della Santissima Trinità dei Pellegrini e lottizzarono i territori di loro pertinenza; ma a ridosso del bastione e lungo il tratto di mura rimaneva l’area verde.
In questi giardini sorse tra la fine del Seicento e l’inizio del secolo successivo – sicuramente prima del 1722, anno della contesa giudiziaria tra il marchese Giovanni de Ruggiero, giudice della Gran Corte della Vicaria, e Nicola Antonio di Gaeta, duca di San Nicola, proprietario dei terreni confinanti – la “casa palazziata” de Ruggiero.
Nel 1754 Ferdinando Latilla, consigliere della Real Camera di Santa Chiara, acquistò la proprietà de Ruggiero.
La ristrutturazione dell’edificio iniziò immediatamente come dimostra la richiesta al Tribunale delle Fortificazioni, Mattonata e Acqua (settembre 1754) di utilizzare una porzione di suolo pubblico, adiacente la strada aperta dalla Trinità dei Pellegrini, e un tratto di mura, oramai obsoleta.
Mario Gioffredo fu l’architetto progettista.
I lavori condotti fino al 1758 resero il palazzo adatto alle esigenze abitative e di decoro di Latilla.
Il fronte principale del palazzo era in relazione all’ingresso del grandioso Palazzo Spinelli di Tarsia, sul cui giardino si affacciava l’appartamento nobile.
I lavori però continuarono e al palazzo originario, oggi sede del DiARC, furono aggiunti altri due corpi a corte adibiti a palazzi per appartamenti da affitto.
Il risultato fu un grande edificio – condizionato dal lotto irregolare e dalle quote del suolo – che lambisce la strada, sorta a ridosso delle mura con una cortina continua.
Il massiccio e alto prospetto è definito al piano terreno da tre portali e botteghe con cornici di piperno; sottili fasce marcapiano limitano i piani superiori che presentano balconi alternati a finestre.
Questo monotono disegno si ottiene dalla reiterazione dello schema proposto all’origine per il primo palazzo signorile di Latilla.
Questo è caratterizzato dal cortile su cui spicca la scala aperta, adattamento delle scale settecentesche napoletane all’esiguo spazio che l’architetto aveva a disposizione.
La speculazione di Latilla si può vedere iniziata nella Mappa topografica della città di Napoli e de’ suoi contorni di Giovanni Carafa duca di Noja (1750–1775) e terminata nella Pianta Topografica di Monte Calvario di Luigi Marchese del 1804.
Anche il primo palazzo fu poi trasformato in palazzo d’affitto; il cortile centrale era stato manomesso dalla presenza di verande-ballatoio in ferro aggettanti per disimpegnare gli appartamenti.
La destinazione, prima di quella universitaria, come grande magazzino di arredamento, aveva continuato e accentuato il declino dell’edificio.
Oggi, infatti, non vi è quasi più traccia delle ricche decorazioni degli interni; unica testimonianza rimane la cappella del piano nobile.
Dal volume "Passeggiando per la Federico II" (seconda edizione aggiornata) a cura di Alessandro Castagnaro - fotografie di Roberto Fellicò - FedOAPress