Sede Centrale
Sede Centrale
di Alfredo Buccaro
Nell’ambito del Risanamento rientra la generale opera di sistemazione e ampliamento del complesso universitario di via Mezzocannone. A partire dal 1891 fu elaborato dall’ingegnere Guglielmo Melisurgo un programma di massima relativo alla ristrutturazione e all’ampliamento della sede esistente, nonché a un massiccio intervento sugli ex conventi di Caponapoli assegnati all’Università. Un anno più tardi egli fu affiancato dall’ingegnere Pier Paolo Quaglia, direttore dell’Ufficio d’Arte della Società pel Risanamento. I grafici esecutivi del Progetto di ampliamento e sistemazione degli edifici universitari in Napoli, insieme con i computi metrici, furono redatti da Quaglia per gli aspetti architettonici e da Melisurgo per quelli strutturali ed estimativi, e presentati al Genio Civile nell’aprile 1896. Come si vede nel disegno prospettico del nuovo palazzo prospiciente il “Corso d’Italia”, pubblicato un anno più tardi su «L’Illustrazione Italiana», la fabbrica si sarebbe sviluppata su tre livelli, con un corpo centrale fortemente sporgente, così come le parti estreme. Al di sopra del basamento bugnato il prospetto approvato mostra due file di aperture arcuate serrate da lesene corinzie giganti: la zona centrale e le ali appaiono coronate da frontoni, mentre le parti intermedie presentano un attico continuo; un’alta cupola a padiglione in ferro e vetro, di chiara ispirazione antonelliana, avrebbe dominato l’edificio, il cui ingresso, concepito a guisa di arco trionfale, appare nel grafico sovrastato da un loggiato corinzio. Le critiche mosse da numerosi uomini di cultura all’indomani dell’esposizione dei grafici nella Biblioteca Universitaria sollevarono un forte movimento di protesta, capeggiato da Benedetto Croce, contro la prevista distruzione di tanti ex conventi per la sistemazione delle nuove cliniche a Caponapoli. Al sontuoso apparato formale adottato nei prospetti del nuovo complesso universitario, tutto pervaso di influssi manieristici e barocchi, corrispondeva all’interno un’articolazione dei corpi di fabbrica alquanto frammentaria: un lungo percorso a nastro – la nuova rampa del Salvatore – in comunicazione con le rampe già esistenti avrebbe collegato edifici vecchi e nuovi, sviluppandosi tangente all’antica sede e a quella del Rettifilo e “generando” i corpi di fabbrica degli istituti di Chimica e di Fisica. Questi ultimi si sarebbero inoltre congiunti, attraverso le loro aule principali, con la nuova «arteria centrale a scalinate e ripiani», avente origine dal nuovo palazzo dell’Università e recante al cortile settecentesco del complesso gesuitico. Negli esecutivi del 1896 gli edifici appaiono dotati di piante a “C” con due soli livelli fuori terra e corpi semicircolari addossati in più punti ai volumi prismatici, nonché raccordi angolari a sagoma curvilinea; in particolare, le aule principali avrebbero avuto un’originale pianta lobata, con calotte vetrate e una struttura interna anfiteatrale. Pur essendo stata posta la prima pietra dell’edificio dal principe di Napoli il 28 ottobre 1896, agli inizi dell’anno successivo si ripropose il problema della facciata, per la quale gli stessi progettisti erano in disaccordo. Il ministro dei Lavori Pubblici affidò a una commissione, formata da Giuseppe Sacconi, Guglielmo Calderini e Lorenzo Schioppa, il compito di esprimere il giudizio finale: fu dunque sollecitata la redazione del grafico definitivo per la facciata, che tenesse conto delle prescrizioni della commissione. Ma, morto Quaglia e redatto un nuovo disegno da Melisurgo, anche stavolta gli esperti non credettero opportuno approvarlo; l’ingegnere elaborò allora altre quattro varianti di facciata, di cui una fu finalmente adottata nell’aprile 1898. Il disegno scelto dalla commissione proponeva per il corpo centrale un aggetto minimo e un coronamento ad attico piano, con al centro un gruppo scultoreo; inoltre, le due file di aperture corrispondenti ai due livelli in elevato avrebbero avuto rispettivamente timpani curvi e triangolari. Nel progetto definitivo, spedito al segretario generale dei Lavori Pubblici nel maggio 1898, Melisurgo semplificò al massimo gli ornati, tenendo conto delle ultime prescrizioni dei commissari, tra cui l’abolizione della cupola, e prevedendo l’uso di pietrarsa per lo spartito principale della facciata e di mattoni per i fondi. I lavori furono iniziati solo nel 1899 e portati innanzi con la direzione dell’ingegnere del Genio Diego Blesio e del professore Francesco Lomonaco: contro quest’ultimo si scaglierà più tardi Melisurgo, ritenendolo l’autentico “deturpatore” dell’opera. Il piano sotterraneo del nuovo edificio dell’Università fu destinato all’archivio e ai depositi; il pianterreno e il primo piano alle Facoltà di Giurisprudenza e di Lettere e Filosofia: tali livelli erano stati dotati dai progettisti di un vestibolo centrale in collegamento con i due scaloni principali e con i foyer recanti alle aule e alle scale di servizio, poste nelle testate. Al secondo piano venne creata l’aula magna, in posizione centrale, fiancheggiata dalle sale per i consigli di Facoltà; nell’ala occidentale furono sistemati il Rettorato, il Segretariato, l’Economato, l’ufficio cassa e la sala del Consiglio accademico, in quella orientale le aule del Magistero, la sala del Corpo accademico, l’Accademia medico-chirurgica e la Società Reale. Sin dal 1899 era stato realizzato dal decoratore Luigi Sannino un modello in gesso, che fu dapprima esposto nella sede dell’Istituto di Incoraggiamento, poi inviato, insieme con la planimetria relativa alla sistemazione dell’intero Ateneo, all’Esposizione Internazionale di Parigi del 1900 e a quella artistica di Milano del 1906. Nel 1907 Melisurgo non solo lamentò al ministro dei Lavori Pubblici Gianturco il mancato riconoscimento dei propri meriti in occasione delle suddette manifestazioni, essendo stata attribuita agli ingegneri del Genio la paternità dell’opera, ma lo stravolgimento del disegno di facciata in fase esecutiva; quello che risultava più assurdo era la sostituzione delle lastre di travertino di Bari ai filari di mattoni previsti nei fondi, venendo meno in tal modo il riferimento a una tradizione costruttiva che aveva trovato a Napoli autorevoli esempi nel Palazzo Reale e in quello degli Studi. Non è difficile, comunque, individuare nell’edificio in esame modelli stilistici tratti dai prospetti delle due fabbriche seicentesche, specie nel disegno dell’alzato centrale e nelle proporzioni delle masse murarie e delle bucature. Nonostante tutto, l’opera acquista un indubbio valore architettonico se rapportata al contesto della quinta prospiciente corso Umberto I. Il frontone centrale ospitò un gruppo statuario in bronzo, modellato da Francesco Jerace e raffigurante Federico II di Svevia che istituisce la prima Università del Regno, con le principali figure del tempo, tra cui Pier delle Vigne, e allegorie alle estremità; nei frontoni laterali su via Mezzocannone e su via Antonio Tari furono collocati altri due gruppi, opere di Achille D’Orsi, che rappresentano Giambattista Vico che insegna la Scienza Nuova e Giordano Bruno dinanzi al Tribunale dell’Inquisizione. Notevole il programma decorativo svolto negli interni, completati non prima del 1917. Il vestibolo d’ingresso, coperto da una volta a padiglione decorata con un bassorilievo in stucco, immette nell’atrio centrale: l’invaso, definito su tutti i lati da archi e pilastri con paraste doriche, da un fregio con metope recanti gli stemmi delle province e da una balconata superiore corrispondente al primo piano, è coperto da un ricco soffitto cassettonato in stucco e comunica direttamente con il porticato esterno di collegamento con lo scalone. Dai due scaloni principali, con balaustrate in ghisa a volte rampanti a cassettoni ottagonali, si giunge all’aula magna: la sala è dotata in giro di venti colonne corinzie in stucco lucido, che in origine sostenevano statue raffiguranti uomini celebri dell’Università napoletana dalle origini al XVIII secolo, in seguito asportate; il soffitto ospita al centro una grande tela di Paolo Vetri raffigurante la scuola di Pitagora a Crotone. Tra le altre opere, nella sala del Senato accademico è il lungo affresco perimetrale avente come tema la grande cavalcata storica del 1616 per il passaggio dell’Università dal convento di San Domenico Maggiore al Palazzo degli Studi, a firma di Gaetano D’Agostino, e nel simmetrico salone del Corpo accademico l’affresco dello stesso autore che raffigura Carlo di Borbone agli scavi di Ercolano e la fondazione della Società Ercolanense. Entro il 1915 furono realizzati i due istituti di Chimica e di Fisica, adottandosi per entrambi una pianta a T assai diversa da quella di progetto, ciascuno con un’aula ottagonale “ad anfiteatro” presso l’innesto con lo scalone centrale. Nei rispettivi fronti su via Mezzocannone e su via Tari, perfettamente identici, si ripropongono il disegno e i materiali presenti nella facciata della fabbrica principale, con l’aggiunta di protiri tuscanici presso gli ingressi. Passaggi architravati, con colonne sugli stipiti, legano gli istituti al terzo edificio, recando ai cortili e allo scalone. Anche quest’ultimo risulta differente da quello progettato, collegandosi a metà percorso con le aule di Chimica e di Fisica mediante un corpo a pianta quadrata coperto a volta, che ospita il gruppo statuario con la dea Minerva (1923): tale fabbrica è definita all’esterno da serliane ioniche serrate da paraste listate ed è sormontata da un attico che reca la data di costruzione (1912), il fastigio con l’orologio e, sul timpano arcuato di coronamento, un’aquila bronzea. Poco felice risulta, in verità, il nuovo prospetto del complesso del Salvatore verso la “via centrale”, specie per l’innesto obliquo con cui l’ingresso al vecchio Istituto di Mineralogia si collega allo scalone. Nel novembre del 1913, con l’inaugurazione dei due istituti, il grande complesso universitario iniziò a essere utilizzato. Gli edifici e la loro veste decorativa non subiranno alcuna modifica sino al 1943, quando notevoli distruzioni furono causate dai bombardamenti, dagli incendi provocati dai tedeschi dopo l’armistizio e dall’occupazione delle truppe alleate. A ciò faranno seguito le fasi della ricostruzione e poi gli interventi per riparare i danni del sisma del 1980. Negli ultimi anni Nicola Pagliara è intervenuto con originali soluzioni, sebbene di forte impatto architettonico e decorativo, negli interni dell’aula magna, del rettorato e dell’aula del Senato accademico, che sono stati privati quasi totalmente della veste ottocentesca.
Dal volume "Passeggiando per la Federico II" (seconda edizione aggiornata) a cura di Alessandro Castagnaro - fotografie di Roberto Fellicò - FedOAPress