La vaccinazione di massa voluta nel 1801 da Ferdinando di Borbone

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La fiducia dei cittadini nella pratica della vaccinazione, soprattutto in una situazione di pandemia come quella che stiamo vivendo, si può rafforzare attraverso una informazione corretta, chiara e capillare. La scelta di vaccinarsi può essere determinata anche proprio dal modo in cui tale pratica viene proposta.

 Problemi simili a quelli che stiamo osservando in questi ultimi anni di rifiuto dei vaccini sono sempre stati presenti, a più forte ragione nel passato quando le conoscenze in proposito erano molto scarse e le possibilità di informare la cittadinanza – soprattutto le fasce più povere e ignoranti – assai limitate.

Nell'articolo "Vaccinazioni di massa. Il modello Borbone", pubblicato di recente su Il Mattino, evidenziamo come il successo della scoperta di Edward Jenner sia da attribuire anche alla capacità di politici e medici di organizzare e portare avanti programmi di vaccinazione di massa.

In maniera particolare ricordiamo in questo articolo il grande lavoro compiuto nei Regni di Napoli e di Sicilia a partire dal marzo 1801 per vaccinare il più alto numero possibile di bambini e adulti contro il terribile e temutissimo morbo del vaiolo.

Il progetto di una vera e propria vaccinazione di massa, la prima nella penisola e tra le primissime in Europa, nacque su impulso del re Ferdinando e di uomini di scienza come Michele Troja, Domenico Cotugno, Antonio Miglietta e Gennaro Galbiati, ai quali il sovrano illuminato affidò questo importantissimo incarico convinto del fatto che una questione di tale rilevanza dovesse essere gestita direttamente dallo Stato attraverso i migliori medici.

Questo primato dà atto della capacità del Regno del Sud di attuare politiche sanitarie e sociali molto spesso all'avanguardia e destinate a tutto il popolo, e testimonia il fondamentale contributo che il Regno delle Due Sicilie ha avuto nella storia della vaccinazione contro il vaiolo.

Tuttavia, deve essere rilevato che anche all'epoca non pochi furono gli atteggiamenti di ostilità e talora di fermo rifiuto verso tale pratica, soprattutto tra le fasce di popolazione più povere.

E' da mettere in risalto la capacità del re e dei suoi medici nel coinvolgere in una sorta di piano di comunicazione ante litteram non solo i giovani medici, che dovevano conoscere alla perfezione la pratica vaccinale, ma anche i parroci e le levatrici, che svolsero una potente azione divulgativa sui benefici del vaccino e sull'utilità della vaccinazione. In questo modo fu possibile vaccinare nei primi due decenni del XIX secolo 400.000 persone, raggiungendo una copertura di più del 17% di tutti i nati nel Regno, un risultato eccezionale per quegli anni.

Questo articolo conferma, ancora una volta, come la storia, e in particolare la storia della medicina, offra spunti di riflessione importanti per una lettura il più possibile chiara e meditata del problema dei vaccini, nella consapevolezza che in un momento come quello che stiamo vivendo rappresentino l'unico modo sicuro ed efficace al momento disponibile per vincere e superare la pandemia.

 

 

Maurizio Bifulco

Ordinario di Patologia Generale e di Storia della Medicina

Università degli Studi di Napoli Federico II

 

Davide Orsini

Direttore del Sistema Museale Universitario Senese

e docente di Storia della Medicina all'Università di Siena

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