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Joshua Foer, l'uso della memoria al tempo di Internet

In un recente intervento, pubblicato anche in Italia il 24 gennaio 2012 sulle pagine del "Corriere della Sera", Joshua Foer ha riproposto uno dei suoi cavalli di battaglia, il rapporto tra nuove tecnologie e memoria.
Il punto di vista di Foer, per quanto non sia, in fin dei conti, molto originale, ha il pregio di semplificare e rendere seducente un tema certamente complesso che ha acceso negli ultimi anni molte polemiche. Il giovane giornalista statunitense in sintesi sostiene che le cosiddette innovazione digitali, con in testa internet e i motori di ricerca, permettendo a una parte dell'umanità di accedere in modo facile e veloce a grandi quantità di informazioni, stiano progressivamente trasformando i processi di memorizzazione.
La rivoluzione informatica avvenuta alla fine del secolo scorso, come è noto, ha cambiato profondamente il modo di relazionarsi dell'essere umano con la cultura che produce. «Abbiamo rimpiazzato la memoria naturale» afferma il teorico americano «con un'ampia sovrastruttura di puntelli tecnologici che ci hanno liberato dall'onere di immagazzinare le informazioni nel cervello». Queste tecnologie, che inducono a raccogliere la conoscenza al di fuori della mente, stanno modificando alcune importanti abitudini dell'uomo, poiché «non avendo quasi più bisogno di ricordare, (…) sembra che ci siamo dimenticati come si faccia».
Foer, fortunatamente, non cade nel facile tranello del catastrofismo. Il problema della memoria, e dei rischi provocati da un suo indebolimento, ha, a suo dire, origini antichissime, riconducibili addirittura alle critiche che Socrate, fautore della cultura orale, rivolse alla cultura scritta che si stava rapidamente imponendo nella società del suo tempo. Allora come oggi l'umanità sembra di fronte a un baratro.
Se il passaggio alla cultura scritta ha tuttavia permesso il dischiudersi di impensabili quanto incredibili potenzialità, la trasmigrazione verso una "memoria informatica" potrebbe aprire le porte secondo Foer a un'era in cui il ricordare potrebbe diventare una pratica rara e a totale appannaggio di elites di appassionati: «quando si sa di dover ricordare un testo, lo si legge in modo molto diverso da quel che la maggior parte di noi fa oggi. Ora privilegiamo la lettura veloce di una gran quantità di materiale scritto, e questo ci induce a leggere superficialmente e a cavarne ben poco. Non è possibile leggere una pagina al minuto, la velocità con cui la maggior parte di noi legge oggi, e aspettarsi di ricordare abbastanza a lungo quel che si è letto. Se si vuole tenere a mente qualcosa, bisogna soffermarcisi, ripetere, appropriarsene».
In altre parole il secolo XXI sta rendendo sempre meno necessario prendere appunti, imparare a memoria, fare proprio un concetto. Avendo infatti sempre sottomano tutte le informazioni, "ricordare" o "appuntare" diventa superfluo, è sufficiente leggere il contenuto di un determinato sito web o di un file.
Il nodo della questione però non è sforzarsi di immaginare un mondo in cui nessuno ha più la necessità di ricordare, ma capire a quali informazioni si avrà veramente accesso, e chi e perché le selezionerà. La Rete opera le sue ricerche attraverso motori di ricerca che funzionano, quando va bene, sulla base di formule statistico-matematiche che selezionano i dati richiesti tra tutti quelli che, su quell'argomento, qualcuno ha inserito sul web. Dunque, si badi, una selezione di un campione, e non tutto ciò che conce
rne lo scibile. Questa non è una differenza da poco. Il fatto poi che i motori di ricerca scelgano per il ricercatore, significa che gli esseri umani, quasi senza accorgersene, si stanno orwellianamente abituando a delegare un attore esterno per determinare gusti, tendenze, ma anche idee e valori. Si sceglie di far scegliere a qualcun altro.
Ma chi sceglie lo fa quasi sempre per un proprio interesse. In realtà la domanda da porsi è chi sta controllando questo presunto passaggio? E, soprattutto, che spazi di libertà, di pensiero e non, darà l'individuo? Qualcuno potrà dire che al momento è difficile dare una risposta a tali quesiti perché è troppo presto o troppo tardi. O forse, più plausibilmente, non si può dare una risposta perché il dilemma, apparentemente irrisolvibile, è vecchio almeno quanto il capitalismo. (R. C.)
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