Condizioni meteo-climatiche e contagi di COVID-19

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Una correlazione tra la diffusione del COVID-19 a livello mondiale e le condizioni meteo-climatiche, è quanto evidenziato in uno studio del professore Nicola Scafetta del Dipartimento di Scienze della Terra, dell'Ambiente e delle Risorse della Federico II, pubblicato sull' International Journal Environmental Research and Public Health.

La ricerca analizza se la pandemia di Coronavirus 2 da sindrome respiratoria acuta grave (SARS-CoV-2) – nota anche come COVID-19 (Corona Virus Disease 19) possa essere stata favorita da determinate condizioni meteorologiche. Vengono confrontati dati da tutto il mondo e si conferma che i paesi dell'Europa occidentale e gli Stati Uniti, insieme a pochi altri paesi con condizioni climatiche simili, sono stati i più colpiti dalla pandemia di COVID-19. Lo studio parte dal riscontro che la stagione invernale 2020 nella regione di Wuhan (Hubei, Cina Centrale) – dove il virus è scoppiato per la prima volta a dicembre e si è ampiamente diffuso tra gennaio e febbraio 2020 – è stata straordinariamente simile a quella delle province del Nord Italia di Milano, Brescia e Bergamo, dove la pandemia, tra febbraio e marzo, è stata devastante. Estendendo l'analisi a tutte le regioni del mondo si determina che questa pandemia peggiora in presenza di temperature comprese tra i 4°C e 12°C ed umidità relativa tra 60% e 80%. Gli stessi motivi meteorologici possono spiegare il perché l'Italia Meridionale, un po' più calda, è stata meno colpita dell'Italia Settentrionale che rientra nell'intervallo di temperatura meteorologica più critica. Possibili co-fattori della pandemia sono stati anche analizzati come l'età media della popolazione e la qualità dell'aria. Si è trovato che una età media alta della popolazione aggrava parzialmente la situazione. Al contrario, l'inquinamento dell'area non si correla bene con i dati di COVID19 perché paesi piuttosto inquinati come quelli del sud-est asiatico (paesi piuttosto caldi) sono stati colpiti marginalmente dall'epidemia rispetto ai paesi occidentali (clima temperato) che sono stati molto più colpiti nonostante l'aria più pulita. In Italia, lo stesso paradosso viene osservato confrontando i dati della Repubblica di San Marino (meno inquinata e più colpita dall'epidemia, ma più fredda) con quelli delle città vicine come Rimini (più inquinata e meno colpita dall'epidemia, ma più calda). Da tutto ciò se ne deduce che le condizioni meteo (condizioni moderatamente fredde e secche, alta pressione, bassa velocità del vento e pioggia moderata) dominano il fenomeno. Infatti, la principale via di trasmissione dell'infezione COVID-19 da persona a persona è attraverso il contatto con le goccioline d'acqua respiratorie emesse dalle persone infette la cui persistenza nell'aria dipende dalle condizione meteorologiche. Inoltre, temperature mediamente fredde anche determinano abitudini come lo stare in luoghi chiusi o poco areati dove è più facile infettarsi. Sulla base di questi risultati, sono state prodotte specifiche cartine del mondo isotermiche, allo scopo di localizzare, mese per mese, le regioni del mondo con variazioni di temperatura simili tra loro. Da gennaio a marzo, la zona isotermica che va principalmente dalla Cina Centrale verso l'Iran, la Turchia, il bacino mediterraneo occidentale (Italia, Spagna e Francia), fino agli Stati Uniti d'America, coincide con le regioni geografiche più colpite dalla pandemia nello stesso arco di tempo. Le previsioni dicono che in primavera, quando il clima diventa più caldo, la pandemia dovrebbe peggiorare nelle zone settentrionali (Regno Unito, Germania, Europa Orientale, Russia e Nord America), mentre la situazione dovrebbe migliorare radicalmente nelle zone meridionali (Italia e Spagna). In ogni caso, in autunno, la pandemia potrebbe ritornare a colpire nuovamente le stesse zone. La zona tropicale e gran parte dell'intero emisfero meridionale, escluso ristrette zone più fredde perché più a sud, potrebbe scampare a una forte pandemia a causa del clima sufficientemente caldo durante l'intero anno. Lo studio è ora disponibile online con accesso libero.

 Lo studio pubblicato sull'International Journal Environmental Research and Public Health

 


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