Carcere. Spazi, diritti e cambiamento culturale

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Un carcere sovraffollato si traduce in spazi ristretti e insalubri, nella mancanza di privacy, nella riduzione delle attività fuori cella, nel sovraccarico dei servizi di assistenza sanitaria, questo porta spersonalizzazione, tensione crescente, violenza. La privazione della libertà personale non comporta la cessazione dei diritti riconosciuti dalla Convenzione europea e dalla nostra Costituzione; al contrario, essi assumono peculiare rilevanza proprio a causa della situazione di vulnerabilità in cui si trova la persona sottoposta al controllo esclusivo degli agenti dello Stato.

Verrà affrontato in un seminario interdipartimentale a cura di Clelia Iasevoli, professoressa di Diritto Processuale Penale del Dipartimento di Giurisprudenza e Marella Santangelo, professoressa di Composizione architettonica e urbana del Dipartimento di Architettura, il delicato e complesso tema dei diritti e dello spazio nelle carceri. 

Quattro gli incontri in programma su piattaforma Teams. Si parte il 9 aprile 2021 alle 9.30. Dopo i saluti del Rettore della Federico II Matteo Lorito e dei Direttori del Dipartimento di Architettura, Michelangelo Russo e del Dipartimento di Giurisprudenza Sandro Staiano, l'introduzione delle curatrici e gli inteventi di Cosima Buccoliero, Direttrice dell'istituto penale per minorenni Milano-Beccaria e vicedirettrice della Casa di reclusione Milano-Opera; Giulia Russo, Direttice del Centro penitenziario di Napoli-Secondigliano e Silvana Sergi, Direttrice della casa circondariale di Roma Regina Coeli. Conclude l'incontro Antonio Fullone, Provveditore dell'Amministrazione penitenziaria della Campania.

Ad ogni individuo detenuto vanno assicurate condizioni compatibili con il rispetto della dignità umana. Recentemente le Sezioni unite penali della Corte di Cassazione (n. 6551 del 2021) hanno affermato che «nella valutazione dello spazio minimo di tre metri quadrati si deve aver riguardo alla superficie che assicura il normale movimento e, pertanto, vanno detratti gli arredi tendenzialmente fissi al suolo, tra cui rientrano i letti a castello».

A otto anni dalla sentenza Torreggiani può ritenersi una ‘conquista' il riconoscimento giuridico dello spazio vitale?

In un contesto di emergenzialismo si tende a giustificare una politica criminale proiettata al raggiungimento di risultati di tipo repressivo, oscurando l'opera del giudice delle leggi di disvelamento del volto costituzionale della pena: il principio della non sacrificabilità della funzione rieducativa sull'altare di ogni altra, pur legittima, funzione della sanzione. Ne consegue che nessuna pena può essere indifferente all'evoluzione psicologica e comportamentale del soggetto che la subisce. Al contempo, nessuna pena che preveda la privazione della libertà personale può essere indifferente ai luoghi in cui le persone vengono rinchiuse, lo spazio in carcere ha un ruolo determinante per la protezione della dignità personale dei reclusi.

Ed è qui che ritorna l'eco delle parole di Aldo Moro secondo cui «l'ergastolo, che privo com'è di qualsiasi speranza, di qualsiasi prospettiva, di qualsiasi sollecitazione al pentimento ed al ritrovamento del soggetto, appare crudele e disumano non meno di quanto lo sia la pena di morte (...). Ci si può, anzi, domandare se, in termini di crudeltà, non sia più crudele una pena che conserva in vita privando questa vita di tanta parte del suo contenuto, che non una pena che tronca, sia pure crudelmente, disumanamente, la vita del soggetto e lo libera, perlomeno, con sacrificio della vita, di quella sofferenza quotidiana, di quella mancanza di rassegnazione o di quella rassegnazione che è uguale ad abbrutimento, che è la caratteristica della pena perpetua. Quando si dice pena perpetua si dice una cosa estremamente pesante, estremamente grave, umanamente non accettabile».

Anche gli individui che si siano resi responsabili dei crimini più odiosi conservano la loro umanità e, dunque, la possibilità di cambiare e di reinserirsi nella società. La compassione resta uno strumento conoscitivo della realtà. Ed in questa direzione ci guida l'ordine assiologico della nostra Costituzione: il carattere rieducativo della pena (art. 27 comma 3 Cost.) è fine non dissociabile dal senso di umanità.

Coniugare spazi e diritti, significa porre le premesse per il cambiamento culturale che parte dallo spazio vitale, perseguendo l'obiettivo del riconoscimento degli spazi necessari all'azione trasformativa del trattamento individualizzante.

Da qui il ruolo fondamentale dell'architettura penitenziaria, che va oltre le misure e lo spazio minimo pro capite, che con il progetto può sperimentare la configurazione dello spazio della pena, per uscire dalla concezione del contenitore e immaginare spazi e articolazioni che tengano al centro l'uomo recluso, i suoi bisogni e la sua dignità.

Gli incontri successivi si svolgeranno il 23 aprile, il 7 e il 14 maggio.

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