La chiesa di Santa Maria Donnaregina

di Arnaldo Venditti

  • Porticato del chiostrino settecentesco di S. Maria Donnaregina
    Porticato del chiostrino settecentesco di S. Maria Donnaregina

Al termine di via Anticaglia - asse viario corrispondente al decumanus superior della città greco-romana - superato l'incrocio con la ortogonale via Duomo nata dall'allargamento dell'originario cardo denominato via San Giuseppe dei Ruffi, già Bulgaro e poi Pozzo Bianco, si incontra la grande insula del monastero di Donnaregina, che racchiude le due chiese di tale titulus, la maggiore, barocca, affacciata sul largo del palazzo arcivescovile, la minore, gotica, di orientamento opposto, accessibile di fianco dall'angusto vico omonimo, anch'esso individuabile come antico cardo . Del grande complesso conventuale che la pianta del duca di Noja documenta nel 1775, prima delle trasformazioni urbanistiche della zona, con un esteso giardino separato da un'esile quinta edilizia lungo via Duomo, attualmente sostituito da una massiccia sequenza di palazzi con piccoli cortili interni, sussistono oggi, insieme con le due chiese, parte del chiostro ad archi e pilastri di piperno, tipicamente controriformistico, per la parte residua inserito in un edificio moderno scolastico, dopo la demolizione delle strutture sud-occidentali per costruirvi i nuovi locali. La clausura del monastero femminile, rigidamente osservata, impedì al Chiarini, nel suo celebre commento al Celano , di prendere visione delle opere particolari racchiuse nella vasta fabbrica, sicchè egli dovette attingere dal d'Engenio le notizie relative, senza poterle verificare, come peraltro aveva fatto il dotto topografo e matematico Nicolò Carletti in occasione della sua illustrazione delle fabbriche urbane, a corredo delle sintetiche didascalie della citata mappa Carafa.

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Dal volume "Il patrimonio architettonico dell'Ateneo Fridericiano" a cura di Arturo Fratta - fotografie di Riccardo Giordano - Arte Tipografica Editrice

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