Un biosensore basato sulla cosiddetta fluorescenza amplificata da metallo

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I risultati di una ricerca nata dalla collaborazione tra l'Università di Napoli Federico II, il Forschungszentrum Jülich (Institute of Biological Information Processing) e la University of Hong Kong (School of Biomedical Sciences) sono stati pubblicati su Nature Communications per illustrare la realizzazione di un dispositivo: un biosensore basato sulla cosiddetta fluorescenza amplificata da metallo capace di misurare nel sangue intero una concentrazione limite di meno di 1 pg/mL (<30 femtomolari) di lattato deidrogenasi prodotta dal Plasmodium falciparum  (PfLDH), un parassita che causa la malaria. 

La ricerca ha rilevato la presenza di PfLDH nel sangue usata per diagnosticare la malattia, e l'interesse ad avere bassi limiti di rivelazione legata alla possibilità di ottenere una diagnosi precoce.  

Il biosensore funziona con uno schema a "sandwich" nel quale l'analita da rivelare (PfLDH) è riconosciuto da un lato da un anticorpo legato alla superficie e dall'altro da un aptamero a cui è legato un fluoroforo. Questo schema, oltre a garantire un'elevata specificità, fa sì che il fluoroforo si trovi a circa 10 nm dalla superficie, che è la distanza alla quale si massimizza l'amplificazione della fluorescenza e con essa la sensibilità del biosensore. La superficie nanostrutturata è costituita da una matrice di nanoparticelle d'oro su vetro fabbricata con una tecnica nanolitografica basata su copolimeri a blocchi, la quale non solo è economica e affidabile, ma anche scalabile su grandi superfici. 

La matrice è stata poi funzionalizzata legando gli anticorpi mediante una procedura fotochimica messa a punto in anni recenti nel laboratorio di biosensori del Dipartimento di Fisica "Ettore Pancini"

La possibilità di produrre anticorpi nei confronti di qualunque tipo di macromolecola o sostanza chimica di piccole dimensioni, associata all'alta specificità del legame antigene-anticorpo, rende i saggi immunologici una tecnica bioanalitica molto utilizzata in vari settori quali la medicina (es. diagnostica di laboratorio), l'ambiente (es. analisi delle acque), la sicurezza alimentare (es. ricerca di tossine o patogeni negli alimenti) e altri.  

La realizzazione di questi saggi passa attraverso vari schemi di rivelazione ciascuno dei quali mira ad ottenere una risposta anche in presenza di bassissime concentrazioni di antigene. Ciò si traduce in diagnosi più precise e/o precoci in medicina o in una maggiore sicurezza analitica se siamo in ambito ambientale o della sicurezza alimentare, dove la ricerca di agenti patogeni o tossine in acque o alimenti è particolarmente importante. Accanto a tecniche immunoenzimatiche (ELISA, Enzyme-linked Immunosorbent Assay), dove l'alta sensibilità è garantita dalle proprietà di catalizzatore biologico possedute dagli enzimi, troviamo schemi di analisi basati sulla rivelazione della fluorescenza (immunofluorescenza). Naturalmente, tutte queste tecniche sono tipicamente utilizzabili solo in laboratorio, ma crescente è la richiesta, ad esempio in ambito diagnostico, di sviluppare strumenti rapidi ed economici, ma allo stesso tempo precisi ed affidabili. 

Poiché in questa ricerca è stato usato sangue intero diluito 1:100 a causa della sua opacità, ci si aspetta che l'analisi in matrici trasparenti (es. siero) consenta di spingere la concentrazione limite fino all'intervallo degli attomolari, aprendo delle prospettive molto interessanti in ambito analitico data la naturale estendibilità ad altri composti della tecnologia descritta in questo articolo. È quello che alcuni autori di questa ricerca (Antonio Minopoli, Bartolomeo Della Ventura, Francesco Gentile e Raffaele Velotta) contano di poter realizzare con lo spinoff ElicaDEA recentemente riconosciuto dall'Università di Napoli Federico II, che si propone di realizzare biosensori per la diagnostica oncologica di laboratorio. 


 


Redazione

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