Ciclo di conferenze 'Costituzionalismi e democrazie illiberali'

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Al via il ciclo di conferenze 'Costituzionalismi e democrazie illiberali', in occasione dell'ultimo anno di insegnamento della materia da parte di Salvatore Prisco, Professore di Diritto pubblico comparato dell'Università degli Studi di Napoli Federico II.

Undici gli appuntamenti in programma nell'Aula A4 della sede di via Nuova Marina, 33, dalle 14.30 alle 16.30. Si inizia il 23 ottobre 2018 con Antonio D'Atena, dell'Università di Roma Tor Vergata. A chiudere il ciclo di conferenze, il 10 dicembre, saranno Jan Sawicki, Università statale di Milano; Michele Scudiero, Università di Napoli Federico II; Antonino Spadaro, Università Mediterranea di Reggio Calabria.

"I nodi arrivano al pettine: lo Stato di diritto nasce con la divisione dei poteri e la democrazia rappresentativa, con supremazia del Parlamento attraverso il vincolo alla legge dell'amministrazione statale e i giudici bouche de la Loi, a protezione dei diritti fondamentali (borghesi).

Si perfeziona - Stato costituzionale - col controllo anche della legge, dal basso (referendum abrogativo o altri istituti di democrazia diretta) e dall'alto (giustizia costituzionale), in nome della superiorità della Costituzione - perciò detta "rigida" - sulla legge ordinaria e del controllo (in cui consiste la garanzia della sua superiorità), da parte di appositi organi di carattere giurisdizionale, del corretto esercizio delle competenze da parte degli apparati pubblici, nonché dell'equilibrio del rapporto tra potere centrale e autonomie territoriali.

Nel corso del tempo, i diritti sono stati però sempre più spesso affermati dai giudici - di merito e costituzionali - resi abilitati a farlo attraverso il necessario esercizio dell'ermeneutica, giacché non possono sottrarsi al decidere su istanze di parte: non è infatti loro permesso il non liquet (detta cioè in modo popolare, a loro non è concesso affermare: «Non sappiamo quali pesci pigliare, vedetevela voi»), ma possono - e debbono giocoforza - superare l'obbedienza pedissequa alla lettera della legge, o attraverso l'interpretazione "costituzionalmente adeguatrice", ovvero sollevando la questione di legittimità costituzionale (dall'istituzione della Corte di Giustizia dell'Unione Europea, poi, anche di pregiudiziale euro-unitaria).

Queste tecniche fanno derivare direttamente dalla esegesi della Carta Costituzionale "nuovi diritti", cioè posizioni soggettive individuali tutelabili, "estratte" interpretativamente dal testo - gli Statunitensi li chiamano penumbra rights - operando "bilanciamenti ragionevoli" tra principi e diritti (scelte che invero non sono mai politicamente neutre), anche in funzione dello sviluppo dell'economia (si pensi da noi al ruolo della Consulta nel caso Ilva o in quello dei contributi di solidarietà su pensioni e stipendi, legittimi solo se temporanei e generalizzati) e in presenza di questioni di rilievo tecnico (si pensi alla demolizione del testo originario della legge sulla fecondazione medicalmente assistita, o ad altre decisioni di natura bioetica con scarsa o controvertibile base legislativa), che suppliscono a inesistenti o confuse leggi di assemblee elettive che sono in crisi di efficienza e quindi di legittimazione.

Agguerrite minoranze - che nei Parlamenti soccomberebbero - hanno dunque imparato a fare lobbyng e si rivolgono direttamente alla magistratura per tutelare le loro aspettative (due esempi recenti: legittimazione delle unioni omosessuali, pretesa di cure mediche alternative a carico del servizio sanitario nazionale e/o rifiuti di obblighi di cura da condurre secondo protocolli scientificamente validati), con la conseguenza che si vota perciò, per sfiducia, assai meno di prima e tutto questo vulnera la divisione dei poteri, il cui senso sistematico originario era di vincolare alla legge amministrazione e giurisdizione.
Il populismo, in tutte le varianti, intende riaffermare il primato della politica sulla giurisdizione e sull'economia e la tecnica, perciò è assolutista e reazionario, nel senso - che qui deve intendersi non come valutativo, ma quale descrittivo - di reagire a una cultura che ha frammentato il potere politico per controllarlo (un nome per tutti: Kelsen; il grande sociologo Alessandro Pizzorno ha ricostruito questo processo storico di progressivo indebolimento in un saggio che si intitola appunto La politica assoluta), in nome di una sua ricomposizione e ri-concentrazione (alcuni nomi classici: Bodin, Hobbes, Schmitt).

Tale obiettivo si riafferma preferibilmente eleggendo con voto diretto popolare un Capo di governo in cui identificarsi, che è il massimo della concentrazione del potere di comando ed è nazionalista (perché così intende controllare il capitale, globalmente erratico, insomma senza patria e mobile, giacché guidato solo dalla ricerca del migliore profitto possibile) e strutturalmente antiscientista: chi sono economisti, magistrati e tecnici in genere per contrapporsi al Popolo Onesto, Organico e cioè senza fratture interne, che plebiscita al potere il Capo della Comunità di Destino (le maiuscole sono intenzionali, per segnalare una nuova "narrazione" della politica) e disdegna le comunità intermedie?
Chiarisco meglio l'ultimo punto: le correnti populiste, in tutte le loro forme, sostengono - non da oggi e non solo in Italia - la superiorità dell'elezione popolare ai fini della decisione politica, al punto che grazie ad essa, ossia in virtù di tale spinta, possono essere travolti limiti legali, economici, tecnici, perché «il popolo lo vuole» e questo vince ogni obiezione; nella linea del mio discorso, cioè, si deve intendere che la somiglianza e la ravvicinabilità (sotto questo profilo) di magistrati, economisti, tecnici in genere fra loro e la differenza di questo "insieme" da quello dei politici eletti è che i primi - certo poi, tra ciascun tipo che lo compone, molto diversi - sono comunque legittimati dalle rispettive conoscenze, non dall'elezione, come invece accade nella nostra tarda modernità per i secondi.

Se si pensa che la configurazione essenziale del costituzionalismo - per i suoi teorici - è che esso sia «una tecnica di protezione della libertà, attraverso la limitazione del potere politico», la differenza con l'impianto culturale populista non potrebbe essere più evidente.
Sono dunque tempi difficili per le idee liberaldemocratiche e socialdemocratiche: quello che resta di destra e sinistra tradizionali si riversa in stampi diversi, che contestano la distinzione classica in nome della contrapposizione tra questa idea del popolo e le vecchie élites, rifiutate in blocco" Salvatore Prisco

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